martedì 1 luglio 2014

Olga Galeone

Il 29 giugno 1798 nasceva a Recanati uno dei più grandi poeti della letteratura italiana: Giacomo Leopardi. Fin dalla giovinezza l'ambiente di Recanati, del tutto estraneo alla ventata delle idee illuministiche, non è adatto ad appagare il bisogno di Leopardi di comunicare, di conoscere ed agire. Così trova nella biblioteca paterna l'unica possibilità per sfogare il proprio furore di conoscenza, gettandosi in uno studio che egli stesso definisce "matto e disperatissimo". 

Il senso di scontentezza per il mondo chiuso nel quale è costretto a vivere diviene sempre più acuto e il desiderio di uscire dal borgo natìo lo porta ad un processo di maturazione interiore, la prima conversione dall'erudizione al bello, a cui farà seguito il successivo passaggio dal bello al vero, e la riflessione sull'esistenza e la sorte dell'uomo. Nella sua profonda disperazione scopre la consapevolezza della propria infelicità che è proiezione e oggettivazione di quella dell'uomo moderno, dell'uomo allontanatosi dallo stato di natura. Lasciare Recanati non lo aiuterà a placare la tensione tra la dolorosa coscienza della realtà e l'esigenza di affetti e sentimenti, ma rinforza la sua volontà più matura e decisa di entrare nel mondo e stringere relazioni più intense con la società intellettuale dell'epoca. 

Vive una intensa esperienza amorosa con Fanny Targioni Torzetti e stringe una profonda amicizia con l'esule napoletano Antonio Ranieri, presso la dimora del quale terminerà i suoi giorni colpito dal colera il 14 giugno 1837. E' difficile parlare del rapporto di Leopardi con la religione poiché la prima impressione che si ottiene dalla lettura delle sue liriche è quella di un totale allontanamento da Dio e dal Cristianesimo. Nella lettera a Luigi De Sinner del 24 maggio 1832 il poeta afferma: "E' assurdo attribuire ai miei scritti una tendenza religiosa". Leopardi cresce in un ambiente familiare bigotto, tradizionalista ed estremamente riservato, improntato a un rigido spirito d'autorità che esclude ogni confidenza ed espansività di affetti.

Il padre Monaldo era un conservatore in religione come in politica, intollerante di ogni novità. Ed è proprio la relazione con i genitori la chiave di lettura per comprendere la religiosità del poeta recanatese. Ha approfondito questo tema nel libro "La Religione di Giacomo Leopardi" (San Paolo Edizione, 2008) uno dei più prolifici esegeti che ricordiamo quest'anno nel centenario della sua nascita: Don Divo Barsotti. Don Barsotti nacque il 25 aqprile 1914 in provincia di Pisa e fu ordinato sacerdote nel seminario di San Miniato nel 1937. Fondatore della Comunità dei Figli di Dio, è noto soprattutto per i suoi scritti, grazie ai quali ha vinto diversi premi letterali come scrittore religioso. Don Divo scrive: "Negare la religione di Leopardi è negare la sua poesia. La sua poesia è religione più della poesia di Manzoni, più della poesia stessa di Dante. Manzoni, certo, è più cristiano; ma Leopardi è più religioso. 

La sua poesia è essenzialmente religiosa". Con il termine religione non intende l'insieme di credenze e pratiche relative alle cose sacre, bensì quel sentimento naturale che fa percepire l'esistenza di una realtà superiore in cui trovare risposta ai grandi dilemmi dell'uomo, il senso della vita e della morte, come pure il bisogno di verità e amore. Don Barsotti riconosce che per Leopardi "la religione diveniva una religione senza Dio: l'anima che si sottraeva all'infinita vanità del tutto, soffriva tuttavia una sete infinita e sapeva che non avrebbe potuto mai essere estinta." Il poeta Leopardi rifiuta il cristianesimo perché, come vissuto dalla sua famiglia, era contrario alla natura, nemico della felicità e della bellezza. 

Nelle lettere indirizzate a suo padre però l'uomo Leopardi si spoglia di ogni veste letteraria e lascia parlare il suo cuore, parla di "SS. Sacramenti ricevuti" e di "adentissime preghiere". Don Divo spiega questa apparente contraddizione: "Nel sentimento angoscioso della sua solitudine egli non aveva dimenticato del tutto la preghiera e la sua speranza era soprattutto la preghiera dei suoi. La sua religione, più che adesione a dogmi ben definiti, era una adesione inconsapevole, quasi naturale ed istintiva, alla religione dei suoi. Il legame con i suoi era anche un legame spirituale e religioso, ma la sua non era per questo religione cristiana". 

Ecco dunque "la sorgente della sua infelicità. L'uomo fatto per Iddio in Dio solo può trovare riposo. La tragica esperienza del poeta è una riprova della verità nelle parole di Agostino. Come in Dio è la beatitudine dell'uomo, così nell'assenza di Dio è la sua infelicità." L'ateo religioso Giacomo Leopardi compone nel 1816 "L'appressamento della Morte", di chiara ispirazione dantesca, che rimase inedita in vita del poeta. Sorprendentemente, o forse no, conclude la cantica con un'invocazione alla Madonna: "O Vergin Diva, se proteso mai caddi di membrarti, a questo mondo basso, se mai ti dissi Madre e se t'amai, deh tu soccorri lo spirito lasso. Quando de l'ore udrà l'ultimo suono, deh tu m'aita ne l'orrendo passo". Nell'ora più buia Leopardi chiede l'intercessione di Maria, consolatrice degli afflitti. Secondo una testimonianza del gesuita Scarpa il poeta "si confessò e si riconciliò con Dio per mezzo della Penitenza" poco prima di morire. La sua richiesta espressa in giovinezza e rivolta alla Madonna affinchè gli stesse vicino nel momento della morte è stata infine accolta.