Luciachiara Palumbo
Asciugate le lacrime, passato qualche giorno nel silenzio di cui avevo bisogno, è venuto il momento di raccontare e quindi di rivivere fotografando alcuni attimi, impressi nella mia mente. Sapevo che non sarebbe stato un anno come tutti gli altri perché ero presa da tante altre preoccupazioni ed ansie, anzi diciamo che temevo che la Settimana Santa sarebbe passata come se nulla fosse sotto i miei occhi.
Non potevo tuttavia immaginare che, nonostante siano quasi 20 anni che vi partecipo, è ancora capace di sorprendere con nuove emozioni, davanti alle quali non si può che restare a bocca aperta. Quel caldo giovedì, trascorso in pellegrinaggio con il mio confratello, è volato tra le parole soffocanti della gente che invadeva Via Duomo e i silenzi dolcissimi delle Chiese, profumate di incenso e di fiori.
Mi sono sforzata di guardare tutto dalla stessa prospettiva di quando ero bambina ma inutilmente… come dice mia madre “crescendo, cambiano i sapori e le emozioni”. Allora mi sono lasciata travolgere dalla bellezza dei nuovi sentimenti e ho camminato, mostrando a chi era accanto a me quella piccola Gerusalemme che è Taranto i quei giorni.
Ho vissuto lo stupore dei miei parenti che non avevano mai visto tutto ciò e ho fatto sì che ancora una volta il “Sepolcro” del Carmine, meta finale di un lungo cammino, mi coinvolgesse in un groviglio di stati d’animo che, perdonatemi, non riesco a spiegare. Ho riposato pochissimo, come al mio solito, incurante dei consigli della mia mamma e sono scesa la mattina del Venerdì per accogliere l’Addolorata.
Il sole cocente, inverosimile in quel periodo, ci ha accompagnati per tutta la giornata e lo abbiamo lasciato alle quatto e mezza del pomeriggio, quando siamo entrati in Chiesa per gustarci quei fatidici istanti prima dell’uscita della processione.
A questo punto sono quasi incapace di dire cosa ho provato; le due ore trascorse all’interno del Carmine sono state un’incessante fiume di lacrime, che traducevano ciò che la mia mente pensava, ciò che il mio animo viveva in quel dato momento. Guardavo quelle statue, quei volti che tantissime volte in 40 giorni avevo descritto, illustrato… erano ormai diventati parte di me e ora che il rito si stava per compiere, mi sentivo responsabile di esso come uno dei tanti collaboratori (che nessuno di voi che realmente prepara per la processione me ne voglia per queste considerazioni).
Nelle scuole, nei saloni della Confraternita avevo osservato tutte le espressioni dei bambini mentre spiegavo loro nel dettaglio questa tradizione intramontabile e lì, quel Venerdì, davanti allo sfilare silenzioso e lento dei simulacri, sembrava che il mio viso riproponesse tutte le emozioni suscitate nei piccoli osservatori. Ho ricordato un bimbo che con le mani giunte, inginocchiato, guardava la Madonnina e piangeva; ho ricordato tutti quei bimbi curiosi, vivaci e capaci di farci scoprire dettagli mai presi in considerazione.
E poi mentre le poste avanzavano nazzicando, ho avvertito una fortissima stretta al cuore ed un nodo alla gola quasi mi stava soffocando. Avrei desiderato tantissimo essere io lì, avrei desiderato uscire alla luce del sole, in quella piazza e lentamente cullarmi sulle note delle marce funebri. Ho allora pensato al futuro, a quando mio figlio, carne della mia carne, potrà, se vorrà, fare ciò che io non ho potuto fare e portare così un piccolo pezzo di me in processione.
Questi alcuni dei numerosissimi pensieri che ingombravano la mia mente in quel delicatissimo momento. Queste alcune delle emozioni che non credo mi lasceranno più perché forti, potenti, travolgenti e infinitamente meritevoli di essere provate ogni anno…