venerdì 1 agosto 2014


Umberto De Angelis

Il 12 giugno 2014 è un giovedì come gli altri, sono di ritorno da una trasferta di lavoro. Mentre rientro a casa in macchina penso che ci siamo quasi, domenica 15 ci sarà la celebrazione di ringraziamento per l’Incoronazione dell’Addolorata e la donazione dello stemma pontificio al velo di Gesù Morto. Ero dispiaciuto che per impegni di lavoro non avevo potuto partecipare con la mia famiglia al pellegrinaggio a Roma e avevo il grande desiderio di partecipare alla cerimonia di ringraziamento, in processione con mio figlio Enrique anche lui confratello. All’improvviso il cellulare che squilla mi riporta alla realtà, mia moglie Paola mi dice poche parole, “una buona notizia, ha telefonato Francesco, il Segretario della Confraternita, sei stato chiamato fra i confratelli che porteranno le statue nella processione di ringraziamento”. Un brivido mi percorre la schiena e subito dopo una sensazione di calore che viene dal cuore e si diffonde in tutto il corpo. La strada per casa scorre veloce sotto le ruote della mia macchina e io mi sento quasi a mezz’aria, sospeso in una nuvola di emozioni e di pensieri.

Arriva il giorno delle prove e con grande piacere rivedo confratelli che come me si sono aggregati 39 anni prima, riconosco confratelli ancora più anziani che non vedevo da tempo e che nell’attesa delle prove ricordano tutte le loro partecipazioni alle processioni della Titolare, di Gesù Bambino, dei Misteri e dei simboli che hanno portato. Il racconto della storia di una vita di Confraternita che si intreccia anche con la mia.

Il Priore, ci parla prima della difficile scelta che ha dovuto operare considerando un Sodalizio così numeroso, poi passa ai dettagli tecnici dello svolgimento della Processione. Partecipa attivamente alle prove, controlla con occhio esperto la composizione delle squadre e l’equilibrio della base, come sempre, da confratello anziano, è prodigo di consigli e attento ad ogni dettaglio. Il mio posto è nella seconda squadra dell’Addolorata, dietro a destra. Per me è la prima volta “sotto” l’Addolorata. Nella mia squadra ci sono confratelli esperti che hanno già portato molte statue.

Finalmente la Domenica è arrivata, gli abiti di rito sono pronti e stirati con precisione da mia moglie, le “mozzette” appese nel porta abiti. Arriviamo presto in oratorio, con mio figlio ci aiutiamo a vestirci, senza fretta, curando i particolari: prima di tutto calze nere e scarpe bianche con la coccarda; il camice ben raccolto dietro; lo scapolare e la solita rituale domanda “Decor o Carmeli”? Decor (considerando la posizione sotto la statua); la cintura con il cintolo; il rosario fermato alla cinta col gruppo di medaglie che tintinnano e infine la mozzetta, i guanti e il cappuccio. Questa volta a me il cappello non servirà. Anche mio figlio è pronto, ultime verifiche se “lo scapolare è a posto” e “il cappello sta dritto” e scendiamo in Chiesa.

Dopo il lungo corteo delle Confraternite, arriviamo al Castello Aragonese, sfiliamo davanti alla Cappellina dove sono esposte le statue, siamo in ritardo e sfiliamo veloci, l’emozione cresce. Nel cortile interno ci sono tanti altri confratelli con abiti di rito diversi, oltre a quelli delle Confraternite di Taranto, molti ci hanno raggiunto da tutta la Puglia. In attesa che si formi il corteo in uscita, intrattengo una breve conversazione con alcuni confratelli venuti da Bitonto. La loro confraternita è stata costituita nella prima metà del 1600. Con qualche stupore scopro che nei loro riti della Settimana Santa loro prendono in spalla le statue e senza mai fermarsi o utilizzare le forcelle, le portano fino al rientro.

Finalmente usciamo, siamo davvero in tanti, il corteo è lunghissimo. Gli uomini della polizia municipale sono in costante movimento come un pendolo e si lamentano perché abbiamo bloccato il Ponte Girevole e spaccato in due la città. Credo che una volta, dopo 250 anni, possa essere un evento tollerabile. Posizionati a coppie dai due lati della strada completiamo il corteo prima delle statue.

E’ arrivato il momento del cambio, durante il primo tratto mi sono preparato, ho pregato con tutti gli altri confratelli in corteo. Velocemente ci sistemano i supporti, i cuscini e i lenzuolini come predisposto nelle prove, tutto è pronto, io sono pronto. Su di me scende una calma apparente.

Finalmente la sequenza che aspettavo, scandita forte e sicura: “… pronti? … ’nguè!”.


Ora sì, ci sono, sotto quel legno a 250 anni dalla donazione dei Calò, sento quel dolce peso scendere su di me. La spalla è forte, le gambe sono ben salde, il cuore pulsa veloce. Prendiamo il ritmo della “nazzicata a passo andante” e appoggiato con la testa al cuscino, veloce sento scendere una lacrima di commozione.

E allora penso a tutti i confratelli che hanno avuto il privilegio di portare l’Addolorata in questi 250 anni, ai primi confratelli nelle processioni subito dopo la donazione dei Calò. I loro volti, le loro famiglie, le loro emozioni, i loro pensieri. Anche loro pregavano l’Addolorata e si rivolgevano a Lei con le loro personali intenzioni. Probabilmente pensavano e auspicavano che il futuro dei loro figli fosse migliore, che potessero con il loro lavoro sostenere dignitosamente le loro famiglie, che fossero risparmiati dalle carestie e dalle epidemie, che potessero vivere in pace con gli altri in una Taranto più grande e più bella. La Taranto del 1765 faticosamente cercava di espandersi nella zona del Borgo grazie anche al grande impegno dell’allora Arcivescovo Monsignor Capecelatro, che si occupò non solo di fede ma anche di cultura tentando di fondare un primo museo. Cercò di incrementare il lavoro e lo sviluppo facendo conoscere ai contadini nuove tecniche di coltivazione e di produzione dell'olio. Tentò di rendere abitabile la zona dell'attuale Borgo, allora quasi tutta terra coltivata di proprietà dei conventi e del Comune, ma gli abitanti della città vecchia erano riluttanti ad abbandonare l'isola. Noi tarantini, spesso a torto, siamo sempre stati (e lo siamo ancora) diffidenti verso i cambiamenti e verso le “nuove iniziative” di sviluppo.


E anche oggi dopo 250 anni, nelle riflessioni del nostro Arcivescovo Santoro, del nostro padre spirituale don Marco Gerardo, di noi confratelli, delle nostre famiglie e di chi conosciamo, i pensieri e le intenzioni sono rivolte ai nostri figli, che possano avere un futuro migliore anche a Taranto senza dover essere costretti ad andare lontano, che passi questo periodo di crisi economica che dura ormai da più di sei anni, che possiamo essere risparmiati dalle malattie del nostro secolo e che per la nostra Taranto ci possa essere un periodo migliore, di espansione culturale, di ripresa economica, di ritorno ai valori veri della comunità cristiana, della famiglia e del sostegno dei più deboli.

Assorto nel mio dolce ondeggiare rivolgo le mie preghiere all’Addolorata e penso che probabilmente il tempo passa, le persone cambiano ma i bisogni e le intenzioni restano immutate, proprio come i nostri riti e il nostro abito che porta e porterà sempre impresso sullo Scapolare l’essenza e il motto di noi Confratelli: 


“Decor Carmeli”