lunedì 8 maggio 2017

Claudio Capraro

Nella mia memoria, che diventa ogni giorno più fallace, ci sono degli eventi il cui ricordo è ancora intatto, cristallino, vivido. Uno di questi giorni è stato sicuramente quello della mia prima settimana Santa, del mio primo pellegrinaggio ai Sepolcri, dei miei primi “piedi a terra”.

Dalla gara della Domenica delle Palme, sino ai prosit al rientro il giovedì notte aver avuto al mio fianco un compagno, un fratello che mi ha “accompagnato” passo passo tra le strategie della gara (che non sarà come quella per le sdanghe, ma per chi partecipa ha comunque una dose di pathos e adrenalina), tra gli impegni dei giorni che precedono il rito, che mi ha aiutato nella vestizione (che considero essa stessa un rito), che mi ha guidato nel cammino a piedi nudi verso gli altari della Reposizione. Un cammino che da quella volta ho ripetuto tante volte, sempre nella stessa direzione, al di là del ponte girevole e che quest’anno mi ha visto per la prima volta in un ruolo invertito rispetto a quella prima volta, con un compagno di posta aggregatosi lo scorso 16 luglio e voglioso di imparare, di apprendere.

Grazie a Dio ho avuto accanto un fratello, molto giovane di età, che si è posto nei confronti del rito con il giusto spirito: devozione, rispetto, in alcuni casi anche un (a mio parere) giusto timore. A me è toccato il ruolo di accompagnarlo dalla domenica sera quando fremeva man mano che il segretario aggiudicava le poste ed io non mi decidevo a chiamare. “Aspetta” gli dicevo e gli spiegavo perché sarebbe stato meglio attendere ancora un po’, quali sono i tempi del pellegrinaggio in città vecchia differenti da quelli del borgo e legati all’elevato numero di poste aggiudicate e dalla Messa in Coena Domini che il Vescovo nel pomeriggio di giovedì celebra in Cattedrale.

Abbiamo passato parte del nostro tempo insieme nei giorni successivi preparandoci spiritualmente ed anche sotto l’aspetto pratico. Spero di essere stato utile con i miei consigli quando in oratorio ci siamo cambiati ed ha potuto per la prima volta poggiare i piedi nudi sul pavimento. “Tira il nastro, aggiusta lo scapolare, sistema le pieghe, addrizza il cappello”. Nonostante il sole di questa settimana Santa particolarmente calda, mi ero preparato “da sotto” come tutti gli altri anni quando il clima era decisamente differente e devo ammettere di aver esagerato; per la prima volta ho sentito davvero caldo.

Presi i bordoni, effettuato il saluto alla Croce dei Misteri, giù in cappellina. Cappuccio sul volto, si apre la porta, la discesa della rampa di metallo e siamo sul marciapiedi, cappello sulla testa, omeri attaccati, possiamo partire. Gli chiedo se è tutto ok mi risponde di sì, ma mi sembra di avvertire un leggero tremolio nel suo braccio. I primi passetti non sono fluidi, procediamo a scatti come fossimo degli automi, poi poco alla volta ci si scioglie, si acquista sicurezza, le gambe prendono il ritmo, la nazzicata pure, il tremore è passato.

Ci facciamo compagnia con le nostre preghiere, con i nostri silenzi, chiusi nei rispettivi pensieri. Mi chiede di ripetergli quello che dovremo fare quando arriveremo alla prima chiesa, ma dobbiamo ancora passare il ponte di tempo ne abbiamo. Via Duomo affollata rende un po’ difficile il raccoglimento, ma lentamente siamo a San Cataldo. Il Repositorio allestito sull’altare maggiore anziché nel Cappellone agevola la salita e la successiva discesa dalle rampe di scale libere dai fedeli e riserva mentre si è in fila nella navata, una visione davvero stupenda, sia pure attraverso i fori del cappuccio, delle tele che normalmente si trovano nella cappella del SS. Sacramento.


Con l’aiuto del Signore percorriamo San Martino e ritorniamo indenni sul pendio; i tecnici delle tv sono pronti per la diretta che comincerà tra poco. Via Garibaldi è il trionfo dello street food e mi astengo dalle considerazioni. Arriviamo a San Giuseppe colma di fedeli che si fatica ad entrare. Il mio compagno ormai non ha bisogno di istruzioni, sa bene quello che deve fare. Dopo aver fatto una fugace sosta davanti alla casa natale di Sant’Egidio ripercorriamo il ponte girevole e torniamo in un borgo sicuramente più caotico di quello lasciato nel pomeriggio. Dobbiamo ricompattarci prima di poter entrare al Carmine e dopo aver percorso la navata saliamo ad adorare il Santissimo Sacramento.

E’ terminato il nostro pellegrinaggio; più tardi del solito me ne accorgo dalle immagini che passano in televisione in segreteria: la Madonna Addolorata è già scesa ed ha percorso un pezzo di strada. Lasciamo i bordoni dopo esserci alzati i cappucci, ci abbracciamo, ci baciamo e scambiandoci le parole latine “prosit”, “vobis”, facciamo le scale che ci portano in oratorio. Mentre ci cambiamo, riaccendendo i telefoni dopo tante ore di astinenza, chiedo al mio giovane amico come sia andata. Le sue parole mi fanno ripensare quanto importante per me sia stato tanti anni fa avere accanto una persona come il mio amico Giovanni; spero che tra diversi anni anche il mio amico conservi un bel ricordo di questo pellegrinaggio.