Luciachiara Palumbo
5 Giugno 2009. Ero inginocchiata dinanzi all'Eucarestia per una di quelle occasioni che devono restare indelebili nei ricordi di ogni cristiano, la Cresima. Guardavo il Corpo di Cristo ma osservavo anche tutto ciò che vi era intorno a me: i compagni del catechismo, con i quali avevo condiviso sei anni di preparazione spirituale, le catechiste, che mi avevano fatto assaporare la bellezza dell'incontro con Dio e quelle mura, che mi avevano materialmente accolto nei momenti belli e brutti che si erano succeduti da quando a soli sei anni avevo messo piede per la prima volta al Carmine.
5 Giugno 2009. Ero inginocchiata dinanzi all'Eucarestia per una di quelle occasioni che devono restare indelebili nei ricordi di ogni cristiano, la Cresima. Guardavo il Corpo di Cristo ma osservavo anche tutto ciò che vi era intorno a me: i compagni del catechismo, con i quali avevo condiviso sei anni di preparazione spirituale, le catechiste, che mi avevano fatto assaporare la bellezza dell'incontro con Dio e quelle mura, che mi avevano materialmente accolto nei momenti belli e brutti che si erano succeduti da quando a soli sei anni avevo messo piede per la prima volta al Carmine.
Con gli occhi puntati su tutto ciò, pensavo dentro di me "E ora? Cosa farò ora? Non ho più nulla che mi leghi a questa parrocchia"… Ed ecco che dal cielo arrivò la risposta. Da quella data la mia vita parrocchiale è diventata frenetica, costituita da sali e scendi per quelle scale, corse, canti e spiegazioni. Ogni pretesto era buono per passare qualche ora in più in quella che ora definisco "la mia seconda casa", ogni pretesto era buono per passare dalla confraternita e piano piano avanzare verso qualcosa che prima o poi mi avrebbe contraddistinto. Lo scoutismo e l'azione cattolica mi hanno formato e non solo spiritualmente, hanno aperto i miei occhi davanti all'opportunità di parlare dell'amore di Dio agli altri attraverso qualsiasi mezzo e in qualunque circostanza.
Lo stile scout, la semplicità, il "sapersi accontentare" sono diventati il mio pane quotidiano che io cerco di donare alle altre realtà per mezzo del mio impegno ma anche solo per mezzo di un sorriso. Indossare quel fazzolettone blu e giallo significa stare più vicino ai miei confratelli incappucciati che hanno bisogno di aiuto nel rientrare in Chiesa per la sosta all'altare della Reposizione.
Far parte del coro vuol dire pregare più intensamente, vuol dire abbracciare il piccolo Gesù con i canti del concerto di Natale o porsi sotto la croce con le fantastiche e commoventi parole della via Crucis di Padre Serafino Marinosci.
Essere parte della confraternita significa essere parte viva di una famiglia, significa condividere, come sto facendo ora, emozioni e sentimenti che nascono dal vivere per Lui.
Essere consorella significa diventare custode di un patrimonio immenso che aiuta la nostra Taranto a non perdere la speranza e che spinge certamente all'abbandono filiale in Cristo.
Il compito di preservare le tradizioni e di farle conoscere mi porta a chiacchierare con i miei bambini del catechismo, a far conoscere la storia della nostra parrocchia sperando che un giorno anche loro possano affermare "Il Carmine è la mia seconda casa".
La sera del 15 Luglio scorso era bello poter vedere tutte le realtà di cui faccio parte essere lì per condividere uno dei momenti più importanti della mia vita.
Scapolare, fazzolettone scout, foulard di azione cattolica, divisa del coro, uno alla volta tutti questi accessori cadono sulle mie spalle e ricordano il forte impegno che ho assunto davanti a Dio e che non smetterà mai di farmi gioire immensamente.