venerdì 19 dicembre 2014

Claudio Capraro      
Sono giorni frenetici questi che intercorrono tra la festività dell’Immacolata e il Santo Natale. Gli alberi sono già addobbati e nei presepi manca solo il Bambinello, ma c’è ancora tanto da fare. In ufficio si guarda il calendario cercando di capire come fare conciliare quei giorni che si stanno avvicinando con le scadenze; chi va a scuola pensa alle lunghe vacanze da passare a casa. Le famiglie, a meno di collaudati calendari, buttano giù il progetto su come dividersi tra i diversi pranzi e cenoni senza scontentare nessuno; si pensa alla spesa da fare in modo che sulla tavola non manchi nulla e si cerca, nonostante tutte le difficoltà e le scadenze di fine anno di far uscire qualcosa per poter aiutare chi non è fortunato come noi (che fortunati nonostante la crisi, i problemi, il lavoro, lo siamo sempre, non dimentichiamolo).

Ma c’è altro che non è frenesia consumistica, o semplice e genuino piacere di stare insieme con i famigliari, c’è un aspetto che andrebbe rimesso nella giusta posizione. C’è da pregare, c’è recitare la Novena di Gesù bambino. Dal 16 al 24 dicembre, ogni giorno, nelle nostre parrocchie si recita questa preghiera di avvicinamento al Santo Natale.

 E non solo in parrocchia, ma in famiglia è ancora più bello recitare questa Novena, insieme con i bambini davanti alla immagine di Gesù bambino. In famiglia riscoprendo il calore del focolare, spegnendo per qualche decina di minuti la televisione, possibilmente in presenza di differenti generazioni: nonni, genitori, figli e nipoti in un continuum che venga tramandato con il passare del tempo. E perché no, invitando anche un vicino, un inquilino che magari salutiamo distrattamente per le scale o con il quale scambiamo qualche frase di circostanza aspettando che arrivi l’ascensore.

Personalmente la mia Novena di Natale, da qualche anno a questa parte, la recito a casa degli ammalati e degli anziani della mia parrocchia. E’ una esperienza che mi dona tanto. E’ uno scambio reciproco di doni. Andare a casa di chi soffre, o realmente un male grave o purtroppo solo gli acciacchi della vecchiaia o peggio ancora la solitudine che spesso questa età porta è un qualcosa di ricco, di grande.

Sono accoglienze differenti quelle che trovi: c’è l’ammalato ancora giovane di età, costretto a casa dalla malattia, che all’inizio si sente quasi costretto a dover fare qualcosa che non sente appartenergli; poi man mano con il passare dei giorni, lo vedi e lo senti sempre più partecipe e presente e quando ti saluta e ti dà l’arrivederci al giorno successivo, nei suoi occhi scorgi una luce che i primi giorni non aveva. C’è il vecchietto ultracentenario assistito da figlia e badante che ha preparato sul tavolo del tinello Gesù bambino e ai lati ha posto due piccole candele. 



Si scusa, avrebbe voluto mettere a disposizione il soggiorno, ma le due donne glielo hanno impedito: “si sporca, non ne vale la pena” hanno detto. La nonnina che vive sola e che riceve l’aiuto dalla vicina della porta accanto, che quando ti vede ti fa le feste. Vorrebbe alzarsi dalla sua sedia, ma non ci riesce e ti porge la sua mano ossuta e grinzosa, segnata da vene violacee e vuole che tu gliela stringa forte. Finito di recitare la Novena, poi, devi accomodarti perché ti deve raccontare dei suoi figli, dei suoi nipoti, ti mostra le foto. 

E così per gli otto giorni successivi, alternando i racconti familiari alla descrizione dei suoi acciacchi e dei relativi farmaci che prende per curarsi. Nessuno di loro vorrebbe che tu te ne andassi, tutti si raccomandano che il giorno dopo tu debba tornare e probabilmente vivono quelle ore in attesa che suoni il campanello. Mi è capitato, nel tempo, di aver ricevuto la notizia che qualcuno degli ammalati visitati durante la Novena a Natale o anche durante la Via Crucis durante la Quaresima, fosse salito al cielo. E’ stata una perdita anche per me non solo per i loro familiari.


Vado via dalle loro case, spesso, trattenendo le lacrime a fatica, rivedendo in quei volti rugosi quelli dei miei nonni, immaginando quanto la sofferenza possa rendere difficile la vita di chi è ancora giovane. Vado via arricchito, con il cuore colmo di gioia e felice per aver donato qualche minuto di conforto a chi soffre. Vado via con la certezza di aver visto in quei volti ed in quei corpi sofferenti, l’immagine del Cristo.