giovedì 11 giugno 2015

Luciachiara Palumbo 

E’ una brutta giornata di pioggia e con il mio piccolo ombrello lascio di corsa Palazzo Pantaleo e supero il ponte di pietra. Negli ultimi giorni non sono stata proprio serena e ho paura che ciò influenzi l’emozione di questo momento tanto atteso.

Entro nell’auto e cala il silenzio… Sia io che lui guardiamo fuori dal finestrino e forse in cuor nostro ricordiamo le prime volte in cui si era parlato di questo momento così importante e di quanto fosse necessario che fossimo l’uno accanto all’altra.

Eppure non ci parliamo né ci guardiamo, assorbiti dai nostri pensieri, impauriti di essere delusi dalle aspettative ed emozionati anche se non lo diamo a vedere.

Parcheggiamo davanti a numerose palazzine e sempre silenziosi scendiamo dalla macchina. “Sono solo due misure”, mi dico in cuor mio pensando che non proverò nulla vedendo un metro da sarta scendere sulla sua spalla o stringersi attorno alla vita. “Sono solo due misure”, mi dico sperando di non piangere già di nascosto e di non permettere al mio cuore di aumentare il suo battito. Citofoniamo, saliamo le scale ed entriamo in casa accolti con una gentilezza che ci mette perfettamente a nostro agio.

Ci sediamo attorno al tavolo e discutiamo su ciò che dobbiamo realizzare ma ciò dura poco ed il momento della misurazioni arriva. Non sarà un semplice metro ad avviare il nostro sogno ma già una mozzetta, un camice ed un cappuccio ci mostreranno quello che sarà. Ed ora come la mettiamo? “Sono solo due misure”, mi dicevo. 

Punto gli occhi su ciò che indossa e mi sento avvampare non pensando di poter gustare già così presto la gioia di vedere il mio futuro confratello personale. La sarta mi sollecita ad aiutarla, a vedere ciò che va e ciò che non va e mi sembra qualcosa di meraviglioso potermi sentire parte di lui, parte di qualcosa immensa che ho sempre desiderato sin da bambina. E così per due, tre settimane di pomeriggio prendo il bus, scendo a piazza Fontana, oltrepasso il ponte e assaporo quei momenti indimenticabili per lui quanto per me. Fin quando un giorno non salgo più quelle scale ma lo aspetto in auto… Apre la portiera ed entra con la sacca, la stendiamo sulle nostre gambe e ci appoggiamo le nostre mani sopra.

Quella sera sarà unica e davanti agli occhi dei nonni faremo vedere come ci si veste analizzando nel dettaglio se tutto è a posto o se dobbiamo ancora perfezionare qualcosa. Dopo aver studiato, con una concentrazione scarsissima, prende tutti le parti di quell’abito costruito a partire dal suo compleanno con lo splendido rosario.

Ed ora guanti, cinta, rosario, scapolare, cappello, mozzetta, camice, cappucci sono finalmente sul divano di casa e quando vorrà potrà andare ad accarezzarli, sfiorando un sogno e stringendo una verità… Mi guarda e mi sorride, vuole che sia io a vestirlo non potendolo più fare dopo. Con immensa emozione prendo il camice e glielo infilo stringendolo in vita così da generare le pieghe dietro. 

Poi accarezzo lo scapolare che gli avevo regalato con il cuore e lo fisso sulle spalle e lungo le gambe, fermato in vita dalla cinta. Con due laccetti gli fermo il rosario sulla cinta cercando di ricordare i miei disegni e rendendolo il più perfetto possibile.

Quindi appoggio la mozzetta, la chiudo e faccio passare il cappello in modo che la punta corrisponda alla nuca. E infine… gli calo quel cappuccio, il nostro cappuccio e sento come se quel pezzo di stoffa scendesse piano piano sui miei occhi e nascondesse il mio volto. Faccio corrispondere i buchi in direzione occhi e appoggio le mie mani sul suo volto fissandolo. Non posso sapere se mi sta sorridendo ma penso e spero di si… Ecco cosa significa essere “due cuori e un cappuccio”…