martedì 24 marzo 2015

Luciachiara Palumbo

I sacrifici di una vita realizzarono il mio sogno e mi ritrovai a reggere il peso di una delle statue più pesanti, sulle mie spalle scivolavano le sdanghe della Cascata.

Ho avuto una persona al mio fianco che non ha smesso mai di supportarmi, non ha mai smesso di condividere il voler essere parsimonioso per aspirare a così tanto. Così le fatiche erano sopportate in due e non ero mai solo.

Quando infatti varcai quel portone, con la luce accecante dei riflettori che illuminavano la piazza, tra i tanti bambini assiepati al di qua delle transenne cercavo il mio piccolo ometto e la sua dolcissima mamma. In casa mentre preparavo i guanti da mettere nella borsa, il mio Matteo era saltato sul letto e con i suoi occhietti mi aveva supplicato di poterli indossare come faceva di solito quando impugnava la piccola troccola di mia moglie. 

Corso dalla mamma per suonare ne aveva provocato le grida perché quei guanti li aveva da poco lavati e non potevo sfigurare. Ma tra la folla quei due volti familiari non c'erano. La banda aveva appena iniziato a suonare e mi sarei dovuto abbandonare al dondolio e alla preghiera ma la testa era ferma alla sua immagine, non potevo iniziare nulla senza di lei.

 Per assurdo non vedevo l'ora che la marcia finisse, non vedevo l'ora di poter dare un passo e girare l'angolo, allora forse li avrei visti. Infatti fu così, mentre cercavamo di far ruotare la statua, un cappellino rosso si fece largo tra la gente e rompendo il silenzio gridò "papà, papà". Tutti i confratelli della squadra si voltarono per vedere chi fosse e guardandomi sorrisero. 

Da quel momento per me poteva considerarsi iniziata la mia processione dei Misteri. I pensieri che invasero la mia testa erano sempre gli stessi, erano sempre preghiere, erano sempre speranze, erano sempre ricordi tristi o felici.

 La stanchezza poi iniziò a farsi sentire ma non mancava molto e avrei potuto riposare. Nella Chiesa in un vai e vieni di confratelli su un banco c'era lei con il bambino in braccio che dormiva aggrappato al suo collo. Appoggiata la statua sui cavalletti le andai incontro e diedi due bellissimi baci sulle due fronti. Il tempo di rifocillarsi e anche io chiusi gli occhi sulla sua spalla. Fui svegliato da un piccolo sussurro "tocca a te".

 Ripreso il cammino il tempo passò velocemente e volevo ricominciare tutto di nuovo sin dal giorno in cui svegliandomi mi aveva dato il buongiorno dicendomi che era iniziato il nostro periodo, era iniziata la Quaresima. Così quando quel portone era di nuovo aperto e la Chiesa mi riaccoglieva nel suo tipico profumo di incenso voltai il capo indietro cercando i suoi occhi rossi. Instancabile come sempre davanti alle transenne mi vedeva rientrare per l'ennesima volta e per l'ennesima volta piangeva con me scaricando la tensione di un anno di attesa.

Sollevo il cappuccio in quella stanza vuota, lo piego, lo rinfilo nell'armadio e chiusa l'anta il mio sguardo cade su quella foto… Io e lei in abito di rito il giorno della mia aggregazione. Due volti giovani, due volti felici, due volti che sapevano di essere DUE CUORI E UN CAPPUCCIO.