mercoledì 25 ottobre 2017

Claudio Capraro

Considerato che è chiusa da circa un trentennio per ricordarla aperta e fruibile bisogna fare uno sforzo di memoria non indifferente, ma l’aver sentito che la ditta esecutrice dei lavori sta smontando le impalcature mi ha fatto scattare un fortissimo desiderio di approfittare del fine settimana per una passeggiata nell’isola al fine di ammirare, sia pure esternamente, la facciata del santuario della Madonna della Salute in piazzetta Monteoliveto. La speranza è che per Natale ci si possa rimettere nuovamente piede al suo interno in maniera da poter, oltre ad apprezzare le bellezze storiche ed architettoniche, anche fare un tuffo nel passato.
Nel 1635 i Gesuiti acquistarono dai Carmelitani una casetta posta a ridosso dell’area nella quale sarebbero sorti a partire dal 1686 il collegio e la Chiesa del Gesù che con la sua forma a croce greca riporta alla mente altre chiese con lo stesso titolo, la più famosa a Roma e le altre a Genova e Palermo. La costruzione proseguì nel secolo successivo per terminare nel 1763. Non passarono molti anni che Papa Clemente XIV soppresse la Compagnia del Gesù e la chiesa ed il collegio furono affidati dapprima agli Olivetani (da cui il nome della piazza), poi ai Domenicani per divenire con la dominazione napoleonica proprietà del demanio (caserma, tribunale, pretura, ufficio delle poste).

Personaggi celebri studiarono nell’attiguo collegio dei gesuiti tra questi San Francesco de Geronimo e Giovanni Paisiello che doveva compiere un tragitto casa – scuola davvero breve visto che la sua abitazione è attigua alla chiesa.
Passata l’epoca napoleonica, la chiesa fu affidata alle cure della Confraternita del S.S. Rosario fino al 1924 anno in cui fecero ritorno a Taranto i proseliti di Sant’Ignazio di Loyola che ripresero possesso di collegio e chiesa entrambi ricchi di opere di elevato valore storico ed artistico come alcuni dipinti del De Matteis e diverse statue di santi dell’ordine dei Gesuiti.
Santuario della Madonna della Salute diventò quando il quadro raffigurante la Vergine con il Bambinello in braccio viene posto sull’altare maggiore. Il 3 maggio del 1936 lo stesso quadro sarà solennemente incoronato e la città di Taranto consacrata alla Madonna della Salute. Questo quadro è una copia della Madonna Salus Popoli Romani che si trova nella cappella Borghese nella Basilica di Santa Maria Maggiore all’Esquilino e che è tanto cara all’amatissimo Papa Francesco anche egli appartenente alla compagnia di Gesù. Il generale dell’ordine dei Gesuiti (1565-1572) S. Francesco Borgia, volle che fossero fatte delle copie da inviare ai vari centri dell’ordine. Il probabile autore del quadro tarantino è il leccese Antonio Verrio.

 Questo quadro negli ultimi anni ha più volte lasciato la sua dimora temporanea vale a dire il Duomo di San Cataldo per essere esposto alla venerazione dei fedeli. Il 5 gennaio 2012 in occasione dell’ingresso nell’Arcidiocesi di mons. Santoro, il quadro fu montato su una base e portato a spalla nella Concattedrale Gran Madre di Dio; successivamente in occasione della giornata internazionale dell’ammalato fu portato nella cappella dell’Ospedale Santissima Annunziata ed infine circa un anno fa in occasione delle giornate Mariane previste all’interno del Giubileo della Misericordia, tutte occasioni nelle quali la nostra Arciconfraternita è stata presente.

Il nostro Arcivescovo Santoro ha da subito indicato questa icona come segno di speranza a fiducia per la città e per i suoi cittadini ed ha dato una grande spinta per la riapertura del Santuario. La speranza è che prima della fine dell’anno la nostra isola possa essere la base da cui parta l’impulso per la rinascita di tutta Taranto: Monteoliveto, il centro di accoglienza notturno, il presidio di legalità rappresentato dalla caserma dei Carabinieri e tante altre iniziative in cantiere da parte di enti, privati e della stessa Chiesa possano essere le prime di una lunga lista di opere ed iniziative che possano regalare ai nostri figli ed ai nostri nipoti una città bellissima come quella attuale, ma priva di quelle brutture che non ci permettono di amarla fino in fondo.