giovedì 20 febbraio 2014

Antonello Battista

Austero, severo, ieratico, solenne. Sono questi gli aggettivi che vengono in mente quando la figura del toccolante si staglia nei nostri pensieri, scorgendo in un’onirica esperienza due buchi di un cappuccio, un cappello alzato sul capo, un bordone dalla punta nera, uno scintillio di medaglie, dei piedi nudi. Se poi chiudiamo gli occhi, provando a far udire la nostra anima, di sicuro avvertiremo il crepitio della troccola, prima più debole, poi sempre più deciso all’aumentare dei palpiti del nostro cuore. Questa sensazione ha percorso, almeno per una volta, i sensi di ogni Confratello o di ogni fedele che ripensando alla processione dei Misteri, ne ripercorre il cammino con gli occhi del cuore.

Quel simbolo però, quel Confratello che apre la processione ha qualcosa di diverso rispetto agli altri: attira gli sguardi, suscita mistero, richiama la coscienze. Il suo crepitacolo non è solo un oggetto, non è solo un mezzo per aprire la strada al corteo processionale, ma è uno strumento di preghiera. Se anche per un solo istante ci si abbandona ai sui laceranti colpi, si spalanca in noi l’essenza del mistero della sofferenza e della morte di Nostro Signore. Le sue maniglie, che agitate battono sulle borchie, sembrano riprodurre i colpi del martello che batteva sui chiodi infissi nelle mani di Gesù e ad ogni suo acuto l’anima sussulta quasi stretta dal peso del peccato.

Ogni Confratello desidera in cuor suo poter di essere fautore di quest’esperienza di preghiera per i fedeli, poiché nostra missione è il decoro e la testimonianza della fede. Ogni Confratello sogna un giorno di poter “portare la troccola”; anche io da giovane Confratello lo desidero, perché “portare la troccola” è molto più che reggere un simbolo. Per una notte sei lo spirito dei Riti, sei la Settimana Santa, sei colui che detta il passo, non solo ad una processione, ma ad un’intera città, a migliaia di fedeli che sentono il loro cuore battere all’unisono col tuo e coi colpi della troccola, che come per empatica corrispondenza si mescolano in un mistica sensazione spirituale.


Io non ho mai avuto il privilegio di essere troccolante, ma spesso mi soffermo a immaginare cosa significhi avvertire le sensazioni che si provano nel reggere un simbolo cosi carico di significato. Immagino lo spalancarsi del portone davanti a me, il tuffo in un mare di agitazione che fa il cuore alla vista della piazza gremita per l’uscita della processione, la prima marcia (magari “Tristezze”), in cui io e la troccola saremo il doloroso lamento della sua melodia, il cammino su via D’Aquino e via Di Palma, la sosta in San Francesco, le luci dell’alba su via Anfiteatro, sempre attorniato da gente, la speranza che la folla si lasci trasportare alla preghiera dal suono del mio strumento. Immagino ogni singola “trucchelisciàte”, ogni “nazzicata” con la troccola sotto il braccio, come un pellegrino con la sua sporta, misuro ogni passo cadenzato da una solenne andatura. Infine immagino il rientro, quando una città intera ti aspetta per decretare il catartico inizio della conclusione dei Riti, i passi appena accennati, come se volessi indietreggiare più che avanzare verso il portone d’ingresso della Chiesa del Carmine, il desiderio personale che il mio raccoglimento non venga interrotto da un’ inopportuno quanto inspiegabile applauso, il mio braccio che si alza, i tre colpi, il portone che si apre e la navata che si distingue in un’accecante oscurità.

È vero, tutto ciò è solo frutto della mia immaginazione, ma non dev’essere molto diverso da ciò che i troccolanti provano nella realtà, perché in ogni modo noi Confratelli siamo accomunati da una cosa: dallo Spirito, che ci fa provare le stesse sensazioni, che ci fa desiderare le stesse esperienze, rivissute da ognuno in maniera diversa ma accomunate dalla fede in Cristo, dalla strada che porta alla sua Verità, e noi quanto suoi fedeli, siamo testimoni reali con la nostra pietà popolare del suo messaggio di Salvezza.