mercoledì 15 ottobre 2014

Valeria Malknecht

Uno dei rischi dell’uomo del nostro tempo è lasciare che la vita scorra ( e corra) senza rendersi conto di ciò che essa vale veramente.

Sempre più preso dai ritmi frenetici del nostro quotidiano, l’uomo vive in una situazione di costante tensione.


C’è chi è preoccupato per i problemi di lavoro (quando c’è) e che tolgono respiro e tempo ai nostri affetti, e chi invece è in ansia per il lavoro che manca.

C’è chi si lamenta per quel qualcosa che non ha o che non può fare, e chi invece si lamenta per qualcosa di troppo e che non riesce a gestire.

C’è chi si lamenta di dover prendersi cura dei propri genitori, ormai acciaccati ed anziani, e chi invece rimpiange di averli persi troppo in fretta.

“Vorrei quel paio di scarpe”, “dove vado in vacanza la prossima estate?”, “ uffa, ho preso ben tre chili”, “ma perché non mi chiama?”, “lasciami stare, oggi ho avuto una pessima giornata a lavoro”.

Sì, certo, la vita è fatta anche di questi piccoli piaceri e di questi “drammi”, sarebbe strano il contrario.

Ma, alla fine, cosa conta davvero?

Poco tempo fa, mentre ero così presa dalle mie cose e così stanca e nervosa, un’amica mi ha confidato che il padre ha scoperto di essere affetto da un male incurabile.

Tutto quello che in quel momento mi stava angosciando, il mio nervosismo e la mia frustrazione, si sono all’improvviso frantumati.

Ecco cosa conta.

Il tempo che resta.

Agli uomini non è concesso conoscere il proprio futuro. Ma, a volte, ci sono situazioni che la realtà ci sbatte in faccia in modo così prepotente, che non possiamo sottrarci dall’affrontare quel futuro, d’improvviso così conoscibile.

E, se da una parte dentro sentiamo tanta rabbia, dall’altra riconosciamo paradossalmente di essere quasi dei privilegiati, perché d’improvviso sappiamo dare un valore al tempo che sappiamo non può essere sciupato.



Ed è qui che entra in gioco la fede, ancora di salvezza per alcuni, capro espiatorio per altri.

La fede, in queste circostanze, aiuta a non sentirsi soli, a non lasciarsi abbattere, a trovare forza laddove proprio non ce la fai; diventa una preghiera di speranza e di affidamento.

E, perché no, in questi casi la fede diventa anche una preghiera di gratitudine, per ciò che hai ancora.

Perché l’esperienza di vita di qualcuno, diventa in qualche modo anche la tua e diventa insegnamento.

E così, all’improvviso, tutto si ridimensiona.

Ti domandi perché non hai detto abbastanza spesso “ti voglio bene”, perché hai impiegato solo tre secondi in quell’abbraccio, perché hai risposto male ed in modo seccato a più di una persona, perché hai dato tanta importanza a quel problema di lavoro…

Davvero siamo disposti a lasciare che il tempo scorra così in fretta, nella sua solita routine, senza dare importanza a ciò che davvero conta?


Non sarebbe forse meglio viverlo lentamente, quasi fino a cercare di fermarlo, istante dopo istante, per poterlo vivere più intensamente?

La preghiera e la fede, ciascuno nel modo in cui riesce ad esprimerla, siano un punto di riferimento costante della nostra vita e per le prove a cui ogni giorno essa ci sottopone: e mentre stiamo chiedendo, non dimentichiamoci mai di ringraziare.

E non dimentichiamoci mai di dire, una volta in più, “ti voglio bene”.