S.P.
Benedetto M. Mainini
È appena terminato il Carnevale e con il mercoledì delle Ceneri si entra nel lungo periodo della Quaresima, una Quaresima che solo a Taranto è vissuta in un modo veramente particolare e intenso. Parlare della Quaresima significa proiettarsi immediatamente alla Settimana Santa, ai perdune, alle processioni dell’Addolorata e dei Misteri. A questo si arriva per tappe, con una preparazione graduata.
Si entra nel vivo della tradizione pasquale tarentina, una tradizione che, per dirla come Giovanni Acquaviva, “resiste al tempo; e parrebbe quasi incredibile, se non ne fossimo tutti testimoni e protagonisti puntuali”. Oggi come oggi la secolarizzazione del mondo ha trasformato la vita di ciascuno di noi; ma, almeno dalle nostre parti, la “tradizione popolare” resiste. Ed è importante mettere in luce le grandi potenzialità che essa produce: non solo di aggregazione civica e sociale, ma anche di attrazione verso i misteri fondamentali della fede cristiana, il cui fascino s’impone ancora alle vecchie come alle nuove generazioni, nonostante le aggressioni del secolarismo che hanno appannato, se non in taluni casi cancellato, ogni segno del sacro nell’assurdo tentativo di cancellare le orme indelebili di Dio nella storia umana.
Per fortuna nel mondo di oggi resistono ancora manifestazioni che agli occhi dei più appaiono anacronistiche. E se tante cose sono cambiate negli ultimi tempi, le nostre tradizioni invece resistono. E resistono nonostante le evidenti difficoltà di inserirle in una vita cittadina divenuta convulsa, in una cornice che sembra voglia scacciare dalla nostra quotidianità tutto ciò che intralcia il ritmo di questa era industriale.
Il mercoledì delle Ceneri, ha inizio la Quaresima, un periodo di quaranta giorni in cui il cristiano è chiamato alla penitenza e alla riflessione e che ci accompagnerà, costellato da innumerevoli appuntamenti, sino alla Pasqua. In tutte le chiese, durante la celebrazione della S. Messa, vengono imposte sul capo di ciascun fedele le ceneri ricavate dai rami d’ulivo benedetti il precedente anno nella Domenica delle Palme. Il sacerdote dirà la frase “convertitevi e credete al Vangelo” che suona come un perentorio invito a rinforzare la nostra fede.
In passato però il rituale delle Ceneri era un po' diverso; il Preside Antonio Fornaro ci ricorda, nel suo libro “Viaggio attraverso la fede e la pietà popolare a Taranto”, che in passato, a mezzanotte dell'ultimo giorno di carnevale, l'Arcivescovo usciva in processione col Capitolo Metropolitano dall'Arcivescovado e, all'angolo della piazzetta con la Cattedrale, dove c'era un “Calvario”, si accendeva un falò dove venivano bruciate le palme portate dalle loro case dai tarentini. Ricordo che il prof. Giacinto Peluso, mio professore di francese al ginnasio, ci raccontava che a mezzanotte suonava il campanone di S. Cataldo e tutti i balli, le feste, avevano termine: questo rituale prende il nome di “a forore” le donne di casa provvedevano addirittura a pulire le pentole per togliere i resti della carne che, fino alla Pasqua, non poteva essere consumata, ovviamene da chi aveva le possibilità economiche di acquistarla.
Il primo appuntamento che ha visto coinvolta la parte, come dire, tradizionale della Città è stato con le Quarantore, delle manifestazioni del culto eucaristico, una volta così diffuse e così solenni da costituire un tempo di rinnovamento spirituale e sociale, di preghiera e di penitenza. La storia ci dice che durante i giorni della solenne esposizione, le città cambiavano fisionomia: i negozi chiudevano, i lavori dei campi erano sospesi, le barriere sociali cadevano e la fede rifioriva nel cuore della gente che imparava a pregare e a meditare. Questa adorazione consiste nel sostare in preghiera dinanzi a Gesù Sacramentato per quaranta ore. Per tre giorni tutti si avvicendavano in preghiera, giorno e notte, dinanzi all’Eucaristia.
Poi vennero le rivoluzioni politiche e sociali, che portarono inevitabili cambiamenti che, grazie ad una ragione progressista, fecero calare molte pratiche religiose, comprese le Quarantore. Resta però il fatto che questa devozione per oltre due secoli è stata al centro del culto eucaristico.
Le radici dell’adorazione affondano nella consuetudine cristiana del digiuno e dell’astinenza praticata nel triduo pasquale; a questa pratiche si aggiunsero veglie di preghiere che avevano inizio la sera del Giovedì Santo e si concludevano a mezzogiorno del Sabato Santo, nel pensiero del Sepolcro in cui Gesù, secondo il computo fatto da S. Agostino, rimase Quaranta Ore.
Il passaggio da questa forma devozionale ad adorazione avvenne a Milano nel 1527 (l’anno del disastroso Sacco di Roma) ad opera del sacerdote ravennate Antonio Bellotti che obbligò i devoti della sua scuola a celebrare ogni anno le Quarantore non solo durante il triduo della Settimana Santa, ma anche a Pentecoste, all’Assunta e a Natale. Nel 1538 Fra Buono da Cremona chiese al duca di Milano Francesco II Sforza e al Vicario Generale Grillino Ghillini, Vescovo di Comacchio, l’autorizzazione ad esporre il Santissimo per un’adorazione di quaranta ore ininterrotte. L’espansione cominciò non appena Paolo III approvò la pia pratica con un Breve del 28 agosto 1537. Nel 1566 i Gesuiti a Macerata contrapposero al carnevale profano un “carnevale santificato” con le Quarantore che attirarono molta gente. Fu l’inizio di una nuova impostazione che tuttora si mantiene.
A Taranto sono molte le parrocchie che, in questi giorni, hanno indetto le Quarantore: nella nostra chiesa del Carmine c’è stata la presenza adorante dei Confratelli in abito di rito che si sono alternati, nei tre giorni, nell’adorazione continua, anche di notte, dinanzi a Gesù Sacramentato: È davvero bello vedere, nel pieno del progresso e del consumismo, giovani Confratelli (ma anche meno giovani) che con devozione sostano dinanzi all’Eucaristia rinunciando anche a festeggiare il profano carnevale.
Benedetto M. Mainini
È appena terminato il Carnevale e con il mercoledì delle Ceneri si entra nel lungo periodo della Quaresima, una Quaresima che solo a Taranto è vissuta in un modo veramente particolare e intenso. Parlare della Quaresima significa proiettarsi immediatamente alla Settimana Santa, ai perdune, alle processioni dell’Addolorata e dei Misteri. A questo si arriva per tappe, con una preparazione graduata.
Si entra nel vivo della tradizione pasquale tarentina, una tradizione che, per dirla come Giovanni Acquaviva, “resiste al tempo; e parrebbe quasi incredibile, se non ne fossimo tutti testimoni e protagonisti puntuali”. Oggi come oggi la secolarizzazione del mondo ha trasformato la vita di ciascuno di noi; ma, almeno dalle nostre parti, la “tradizione popolare” resiste. Ed è importante mettere in luce le grandi potenzialità che essa produce: non solo di aggregazione civica e sociale, ma anche di attrazione verso i misteri fondamentali della fede cristiana, il cui fascino s’impone ancora alle vecchie come alle nuove generazioni, nonostante le aggressioni del secolarismo che hanno appannato, se non in taluni casi cancellato, ogni segno del sacro nell’assurdo tentativo di cancellare le orme indelebili di Dio nella storia umana.
Per fortuna nel mondo di oggi resistono ancora manifestazioni che agli occhi dei più appaiono anacronistiche. E se tante cose sono cambiate negli ultimi tempi, le nostre tradizioni invece resistono. E resistono nonostante le evidenti difficoltà di inserirle in una vita cittadina divenuta convulsa, in una cornice che sembra voglia scacciare dalla nostra quotidianità tutto ciò che intralcia il ritmo di questa era industriale.
Il mercoledì delle Ceneri, ha inizio la Quaresima, un periodo di quaranta giorni in cui il cristiano è chiamato alla penitenza e alla riflessione e che ci accompagnerà, costellato da innumerevoli appuntamenti, sino alla Pasqua. In tutte le chiese, durante la celebrazione della S. Messa, vengono imposte sul capo di ciascun fedele le ceneri ricavate dai rami d’ulivo benedetti il precedente anno nella Domenica delle Palme. Il sacerdote dirà la frase “convertitevi e credete al Vangelo” che suona come un perentorio invito a rinforzare la nostra fede.
In passato però il rituale delle Ceneri era un po' diverso; il Preside Antonio Fornaro ci ricorda, nel suo libro “Viaggio attraverso la fede e la pietà popolare a Taranto”, che in passato, a mezzanotte dell'ultimo giorno di carnevale, l'Arcivescovo usciva in processione col Capitolo Metropolitano dall'Arcivescovado e, all'angolo della piazzetta con la Cattedrale, dove c'era un “Calvario”, si accendeva un falò dove venivano bruciate le palme portate dalle loro case dai tarentini. Ricordo che il prof. Giacinto Peluso, mio professore di francese al ginnasio, ci raccontava che a mezzanotte suonava il campanone di S. Cataldo e tutti i balli, le feste, avevano termine: questo rituale prende il nome di “a forore” le donne di casa provvedevano addirittura a pulire le pentole per togliere i resti della carne che, fino alla Pasqua, non poteva essere consumata, ovviamene da chi aveva le possibilità economiche di acquistarla.
Il primo appuntamento che ha visto coinvolta la parte, come dire, tradizionale della Città è stato con le Quarantore, delle manifestazioni del culto eucaristico, una volta così diffuse e così solenni da costituire un tempo di rinnovamento spirituale e sociale, di preghiera e di penitenza. La storia ci dice che durante i giorni della solenne esposizione, le città cambiavano fisionomia: i negozi chiudevano, i lavori dei campi erano sospesi, le barriere sociali cadevano e la fede rifioriva nel cuore della gente che imparava a pregare e a meditare. Questa adorazione consiste nel sostare in preghiera dinanzi a Gesù Sacramentato per quaranta ore. Per tre giorni tutti si avvicendavano in preghiera, giorno e notte, dinanzi all’Eucaristia.
Poi vennero le rivoluzioni politiche e sociali, che portarono inevitabili cambiamenti che, grazie ad una ragione progressista, fecero calare molte pratiche religiose, comprese le Quarantore. Resta però il fatto che questa devozione per oltre due secoli è stata al centro del culto eucaristico.
Le radici dell’adorazione affondano nella consuetudine cristiana del digiuno e dell’astinenza praticata nel triduo pasquale; a questa pratiche si aggiunsero veglie di preghiere che avevano inizio la sera del Giovedì Santo e si concludevano a mezzogiorno del Sabato Santo, nel pensiero del Sepolcro in cui Gesù, secondo il computo fatto da S. Agostino, rimase Quaranta Ore.
Il passaggio da questa forma devozionale ad adorazione avvenne a Milano nel 1527 (l’anno del disastroso Sacco di Roma) ad opera del sacerdote ravennate Antonio Bellotti che obbligò i devoti della sua scuola a celebrare ogni anno le Quarantore non solo durante il triduo della Settimana Santa, ma anche a Pentecoste, all’Assunta e a Natale. Nel 1538 Fra Buono da Cremona chiese al duca di Milano Francesco II Sforza e al Vicario Generale Grillino Ghillini, Vescovo di Comacchio, l’autorizzazione ad esporre il Santissimo per un’adorazione di quaranta ore ininterrotte. L’espansione cominciò non appena Paolo III approvò la pia pratica con un Breve del 28 agosto 1537. Nel 1566 i Gesuiti a Macerata contrapposero al carnevale profano un “carnevale santificato” con le Quarantore che attirarono molta gente. Fu l’inizio di una nuova impostazione che tuttora si mantiene.
A Taranto sono molte le parrocchie che, in questi giorni, hanno indetto le Quarantore: nella nostra chiesa del Carmine c’è stata la presenza adorante dei Confratelli in abito di rito che si sono alternati, nei tre giorni, nell’adorazione continua, anche di notte, dinanzi a Gesù Sacramentato: È davvero bello vedere, nel pieno del progresso e del consumismo, giovani Confratelli (ma anche meno giovani) che con devozione sostano dinanzi all’Eucaristia rinunciando anche a festeggiare il profano carnevale.