La toponomastica di una città è una cosa importante. Le strade, le piazze, le vie che riportano i nomi di personaggi famosi mondiali, nazionali o locali, di avvenimenti storici o di luoghi geografici, non indicano esclusivamente l’indirizzo di casa, o del luogo di lavoro, ma servono a creare un filo continuo di unione tra il presente ed il passato e che si proietta nel futuro; un legame tra la nostra terra e altri luoghi più o meno vicini, tra quello che accade oggi e quanto accaduto anni fa e che magari ci permette di essere ciò che siamo. Fondamentale è la curiosità; il chiedersi chi fosse il tale a cui è intitolata una via, cosa ha fatto di importante; che cosa è successo nella tale data che dà il nome ad una piazza, dove si trova quel luogo richiamato da quel particolare toponimo.
Tutta questa premessa all’indomani della notizia dell’intitolazione di una strada cittadina al commendator Nicola Caputo, giornalista, storico e figura di primo piano nel panorama culturale della nostra città. E ovviamente, figura importantissima della nostra Arciconfraternita della quale fu guida nei decenni passati.
Personalmente, sarei stato felice se al Priore Emerito fosse stata intitolata una via “normale” nel senso una strada che si percorre giornalmente a piedi o in auto, dove ci sono abitazioni, negozi uffici. Una via che potesse risultare dai documenti di chi ci risiede come patenti di guida o carte di identità, una via che facesse parte del lessico comune, anche per fornire una indicazione su un luogo da raggiungere: “ la seconda traversa dopo via Nicola Caputo”. In questo caso si sarebbe trattato molto probabilmente di una via periferica, ai margini della città che si espande man mano lasciando sempre più vuoto e desolato il centro.
L’amministrazione civica ha invece deciso diversamente volendo probabilmente preferire proprio quel centro cittadino, quel cuore della nostra amata Taranto della quale Caputo ha tanto studiato e scritto. La via intitolata all’autore de “L’anima incappucciata” è la strada che percorre da un estremo all’altro i Giardini del Peripato, quella che va dall’ingresso di via Mignogna a quello di piazza Roma.
Dall’ingresso posto di fronte al complesso scolastico della XXV Luglio, accompagnato dalla nonna paterna, entravo da bambino dopo essermi fermato per segnarmi davanti all’edicola di Sant’Antonio all’angolo con via Pitagora. I giochi erano differenti da quelli attuali, ma le soste obbligate erano le stesse che fa oggi mia figlia: dopo S. Antonio, il tizio con i palloncini davanti al cancello e poi i pavoni, i cigni, un gelato allo chalet (quando è aperto). Prima dei giochi io facevo un’altra sosta per guardare le navi grigie ormeggiate in mar piccolo. E poi una volta terminato di giocare, si tornava a casa dei nonni in via Anfiteatro proprio percorrendo quel viale oggi intitolato a Caputo e uscendo da quello che un tempo era stato un ingresso monumentale e che possiamo vedere solo da foto e cartoline d’epoca.
Spero che ai due estremi di questo viale vengano poste delle belle targhe con scritto in grande il nome di Nicola Caputo in modo che chiunque passi di li fluorescenti podisti della domenica, genitori che insegnano ai loro bimbi a stare in equilibrio sulla bicicletta, fidanzati che si sbaciucchiano sulle panchine, filonisti incalliti e chiunque altro tra cinquanta, cento, duecento anni possa chiedersi incuriosito chi fosse Nicola Caputo e magari scaricarsi uno dei suoi libri in formato elettronico e leggere dei nostri riti, dei tre fratelli di nome Gesù, di quel Natale fatto in casa.