Ci siamo quasi.
Con la ricorrenza del 22 novembre, giorno in cui la chiesa ricorda una santa cara ai musicanti, Santa Cecilia, la nostra città inizia a respirare l’aria del Natale.
Mentre è ancora notte, le donne preparano la massa delle pettole (per i pochi che non lo sapessero, le “pettole” sono delle piccole frittelle tonde) e mettono da parte tutto l’occorrente che, da lì a poche ore, servirà per cucinarle.
Farina, acqua, sale, lievito ed un po’ di zucchero ed olio per friggere; qualche ora per far lievitare l’impasto e tutto sarà pronto. Ingredienti semplici, come semplici sono i gesti delle mani che impastano, sapienti ed instancabili.
Preparare le pettole nella notte di Santa Cecilia, non significa semplicemente cucinare qualcosa. È molto, molto di più.
È onorare una tradizione, è amarsi ed amare, è regalare ai propri cari un momento di sana aggregazione, di serenità e di gioia, così difficile da trovare in questo nostro tempo.
Nell’era delle chat, dei likes, del virtuale ed in cui non potremmo più vivere senza un pc o un telefonino, questi momenti di tradizione offrono l’occasione per tornare alle origini e per riscoprire ciò che è autentico.
Svegliarsi con il dolce suono delle pastorali, uscire fuori infreddoliti in pigiama, con gli occhi assonnati e sentire che nell’aria c’è già l’odore di fritto delle pettole. Andare in cucina o scendere per strada o recarsi in qualche locale (ancora o già) aperto e trovarle lì, calde, “inzuppate” nello zucchero.
Alzi la mano il tarantino che non abbia mai vissuto una scena simile e non si sia sentito il cuore inspiegabilmente felice. Felice di così poco, ma che poco non è.
E all’improvviso ci si sente parte di qualcosa, ci si sente a casa, anche se magari si è lontani.
Perché basta impastare acqua e farina e mettere su una pastorale, ad esempio la Pastorale di D’Ippolito, per sentire l’aria del natale tarantino e per sentire aria di casa e di famiglia.
Per qualche tempo metteremo da parte le nostre amate marce funebri che ci legano alle altrettanto amate tradizioni pasquali (anche se di questo non sono proprio sicura…molti continueranno ad ascoltarle anche nel periodo natalizio perchè le abbiamo ormai nel dna!), e si darà spazio alle pastorali, ai concerti natalizi ed alle luci di natale.
Ma da noi qui a Taranto il natale non sa di pandoro e di spumante. Sa di cose semplici, di fritto, di pettole e di musica popolare.
Sa proprio di casa nostra.
Con la ricorrenza del 22 novembre, giorno in cui la chiesa ricorda una santa cara ai musicanti, Santa Cecilia, la nostra città inizia a respirare l’aria del Natale.
Mentre è ancora notte, le donne preparano la massa delle pettole (per i pochi che non lo sapessero, le “pettole” sono delle piccole frittelle tonde) e mettono da parte tutto l’occorrente che, da lì a poche ore, servirà per cucinarle.
Farina, acqua, sale, lievito ed un po’ di zucchero ed olio per friggere; qualche ora per far lievitare l’impasto e tutto sarà pronto. Ingredienti semplici, come semplici sono i gesti delle mani che impastano, sapienti ed instancabili.
Preparare le pettole nella notte di Santa Cecilia, non significa semplicemente cucinare qualcosa. È molto, molto di più.
È onorare una tradizione, è amarsi ed amare, è regalare ai propri cari un momento di sana aggregazione, di serenità e di gioia, così difficile da trovare in questo nostro tempo.
Nell’era delle chat, dei likes, del virtuale ed in cui non potremmo più vivere senza un pc o un telefonino, questi momenti di tradizione offrono l’occasione per tornare alle origini e per riscoprire ciò che è autentico.
Svegliarsi con il dolce suono delle pastorali, uscire fuori infreddoliti in pigiama, con gli occhi assonnati e sentire che nell’aria c’è già l’odore di fritto delle pettole. Andare in cucina o scendere per strada o recarsi in qualche locale (ancora o già) aperto e trovarle lì, calde, “inzuppate” nello zucchero.
Alzi la mano il tarantino che non abbia mai vissuto una scena simile e non si sia sentito il cuore inspiegabilmente felice. Felice di così poco, ma che poco non è.
E all’improvviso ci si sente parte di qualcosa, ci si sente a casa, anche se magari si è lontani.
Perché basta impastare acqua e farina e mettere su una pastorale, ad esempio la Pastorale di D’Ippolito, per sentire l’aria del natale tarantino e per sentire aria di casa e di famiglia.
Per qualche tempo metteremo da parte le nostre amate marce funebri che ci legano alle altrettanto amate tradizioni pasquali (anche se di questo non sono proprio sicura…molti continueranno ad ascoltarle anche nel periodo natalizio perchè le abbiamo ormai nel dna!), e si darà spazio alle pastorali, ai concerti natalizi ed alle luci di natale.
Ma da noi qui a Taranto il natale non sa di pandoro e di spumante. Sa di cose semplici, di fritto, di pettole e di musica popolare.
Sa proprio di casa nostra.