mercoledì 23 novembre 2016

Benedetto Maria Mainini

La festa di Santa Cecilia dà inizio alle tradizioni natalizie nella nostra Taranto. Nella prima mattinata la sveglia è dalle dolci note delle pastorali suonate dalla bande cittadine. Ed è certamente una sveglia dolce e soave anche per chi, come noi amanti della tradizione, ha avuto il piacere di ascoltare, nel calore del proprio letto, le dolci note delle pastorale dei vari Ippolito, De Benedictis, Lacerenza, Battista, Caggiano e non ha potuto fare a meno di affacciarsi al balcone, anche per rendere omaggio ai bandisti. E sì: oggi, infatti, la Chiesa festeggia Santa Cecilia, eletta patrona della musica e dei suoi cultori, anche se in realtà… non sapeva nulla di musica!

Tutto nacque nel XV secolo, da una falsa interpretazione di un brano della Passio (il racconto del V secolo della sua vita e del suo martirio) in cui, accennando al festino delle sue nozze con il nobile Valeriano, si narra che “cantantibus organis” (mentre gli strumenti suonavano) Cecilia “in corde suo soli Domini decantabat” (nel suo cuore cantava solo al Signore). Ma il testo fu trascritto senza la parte “in corde suo”, sicché l’omissione fece intendere come una vera e propria abilità musicale della Santa quella che invece veniva descritta come una sua melodia interiore.

Da qui la leggenda di Cecilia musicista che ha ispirato innumerevoli artisti, tra cui Guido Reni, il Domenichino, Rubens (che la raffigura al clavicembalo) e soprattutto raffaello col suo celebre dipinto conservato nella Pinacoteca di Bologna, in cui la martire appare tutta tesa all’ascolto di celesti armonie, dopo aver abbandonato su un lato gli strumenti della musica terrena. Tra le sue immagini più antiche va ricordata quella dei mosaici di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna, dove Cecilia fa parte della lunga teoria di vergini martiri che muovono verso la Madonna col Bambino, precedute dai Magi.

Santa Cecilia, appartenente alla nobile famiglia dei Cecili, è una santa molto venerata dalla Chiesa e il suo culto si diffuse subito, a partire dal V secolo, quando il suo nome venne introdotto nel canone della liturgia romana e ambrosiana. Cecilia aveva convertito il suo sposo Valeriano e il fratello di questi Tiburzio. Questi, con Cecilia, si dedicavano alla sepoltura dei cristiani uccisi. Il prefetto della città fece arrestare i due giovani che, essendosi rifiutati di sacrificare agli dei, furono condannati a morte. Massimo, il sottufficiale incaricato di giustiziarli, impressionato dalla gioia che si leggeva loro in faccia davanti alla morte, volle essere battezzato. Il prefetto fece uccidere anche lui. Tutti e tre furono sepolti da Cecilia. Il prefetto fece arrestare anche Cecilia e, di fronte al rifiuto di piegarsi agli dei, fu decapitata. Fin qui la Passio.

Ma la storia ci riporta un fatto avvenuto nel 1599 che non ha nulla di leggendario: il 19 ottobre il cardinale Sfondrati, titolare della basilica di Santa Cecilia, durante i lavori di restauro da lui promossi, compì la ricognizione del corpo della Santa. Aperto il sarcofago, alla presenza anche del cardinale Baronio inviato da papa Clemente VIII, venne trovato all’interno l’arca di cipresso, ancora integra, in cui venne sepolta Cecilia da papa Pasquale I nell’821, quando decise di ampliare la basilica di Trastevere (sorta sul luogo della casa di Santa Cecilia) e, in seguito a un sogno, ne rintracciò il corpo, che si credeva trafugato dai Longobardi. Dentro l’arca di cipresso fu rinvenuto il corpo incorrotto della martire, coperto di un velo di seta, ancora intriso di sangue, sopra l’abito tessuto con fili d’oro; il corpo non giaceva supino, come di solito si trovano le salme, ma coricato sul lato destro, come se dormisse. Subito fu chiamato lo scultore Stefano Maderno perché facesse un disegno del corpo della martire e poi se ne servì per modellare la bella statua marmorea che ancora oggi si ammira nelle catacombe di San Callisto.

Nella nostra Cattedrale di S. Cataldo si conserva dal 1995 un bel simulacro in legno di S. Cecilia, opera dello scultore alto-atesino Thomas Niederkosler, donato dalla famiglia Zicari. Anche i musicisti e i cultori della musica tarentini onorano Santa Cecilia, grazie all’interessamento del Maestro Giuseppe Gregucci, direttore della Grande Orchestra di fiati S. Cecilia, che, dopo la processione e la messa, terrà un concerto di pastorali.

Le pastorali tarentine hanno origine nel 1870 quando un Capitano d’Artiglieria, Giovanni Ippolito, compose la prima pastorale che la storia cittadina ricordi. Egli la compose nell’anno in cui diresse il concerto bandistico di Taranto. Dopo Ippolito, nel 1880, il maestro Francesco Battista compose due pastorali intitolate “Pastorale n.1” (nota per il testo “Torna Natal”) e “Pastorale n.2”. Seguì il maestro Gennaro Caggiano, fratello della poetessa e ispettrice scolastica Anna, e nel 1904 il maestro clarinettista Francesco De Benedictis (1855-1933), ricercatissimo solista e direttore della banda di Montemesola. Seguirono Giacomo Lacerenza, che compose due pastorali nel 1921 e nel 1922 intitolate anch’esse “Pastorale n.1” e “Pastorale n.2”, Domenico Colucci, che compose la pastorale intitolata “Nuit de Noel”, Carlo Carducci, Giovanni Bembo, Ezio Giorgio Vernaglione e altri fino al nostro Giuseppe Gregucci; degna di menzione è la bellissima pastorale composta dal Maestro Dino Milella, un’elegante suite natalizia.

Un’ultima nota: ricordiamo che la scuola di musica più famosa di Roma, l’Accademia musicale di Santa Cecilia, fu intitolata a lei nel 1584. Henry Purcell, George Friedrich Haendel e Benjamin Britten le hanno dedicato composizioni, mentre in tutto il mondo associazioni e rassegne musicali si ispirano al suo nome.