giovedì 24 novembre 2016

Claudio Capraro

Dopo anni di sacrifici, finalmente i miei genitori avevano realizzato il sogno di una casa di proprietà. Notaio, rogito, mutuo venticinquennale, tutto quanto era stato sistemato restava solo da organizzare il trasloco dalla casa dove ero cresciuto dai quattro fino ai tredici anni per trasferirsi nella nuova abitazione.

Mammà camminava, in virtù dello status acquisito, guardando dall’alto in basso le altre inquiline che ricambiavano con sguardi di invidia e auguri dietro ai quali si nascondevano probabilmente “jasteme”; papà molto più tranquillamente stringeva le mani di persone con le quali avevamo vissuto nove anni tenendo le porte di casa aperte; io intanto tiravo gli ultimi calci al pallone con i miei amici ed ero molto triste per quell’abbandono.

L’ultima sera una cena frugale circondati da scatole di cartone, ma prima di andare a letto in attesa del grosso tir che avrebbe caricato tutte le masserizie, ricordo che papà prese una scatola vuota e con un fare che aveva del solenne ci mise dentro un pacco di farina, dei lieviti di birra, zucchero, una bottiglia d’olio ben protetta da fogli di giornale ed una “frizzola”; nello spazio rimanente infilò un’audiocassetta ed un mangianastri. Chiuse la scatola con il nastro avana da imballaggi e con una penna ci scrisse su “pettole”. Quel cartone, il giorno successivo, doveva essere ben visibile rispetto a tutti gli altri nell’inevitabile bailamme che ci sarebbe stato a casa nuova. Traslocammo il 21 di novembre del 1981.

E all’alba della mattina del 22 la casa nuova fu subito battezzata con le note delle pastorali e con l’acre odore della frittura che, ai tempi, mangiata di primo mattino non mi procurava nessun problema a differenza di oggi.

Nella nuova casa della quale scrivevo in principio oltre al mangianastri di famiglia, le note delle pastorali venivano diffuse dall’impianto di amplificazione della parrocchia retta al tempo da don Antonio Cotugno, una chiesetta di periferia; luoghi di una Taranto che allungava il suo tessuto urbano e dove le bande non venivano a fare il loro giro. Così sono cresciuto ed è quindi inevitabile che la data del 22 novembre rappresenti per me, come per ogni cataldiano, una data di quelle da cerchiare in rosso quando si inaugura il calendario del nuovo anno.

Quella cassetta fino a qualche anno fa la usavo; adesso ho solo la custodia: De Benedictis, Ippolito, Battista 1, Lacerenza 2, Caggiano, Venaglione, e una registrazione degli zampognari sul lato A. Colucci, Battista 2, Lacerenza 1, Il Messia (Bembo) e Betlemme (Simonetti) sul lato B.


L’inizio del periodo natalizio viene spostato per ragioni commerciali sempre prima; non si aspetta neanche che sia passata la ricorrenza dei defunti che i negozi, soprattutto quelli della grande distribuzione, sono già pieni di articoli natalizi. La prerogativa del nostro Natale è proprio la sua lunghezza. Dal 22 novembre fino al giorno dell’Epifania, è un periodo di tempo che andrebbe apprezzato gustando le tappe che lo contrassegnano. Basterebbe leggere il calendario per trovare Santi a cui sono legate tradizioni che per i nostri avi erano sicuramente familiari: Santa Caterina, Sant’Andrea, Santa Bibiana, Santa Barbara, San Nicola, la festività dell’Immacolata Concezione, Santa Lucia fino ad arrivare al Natale.

Stamattina moglie e figlia hanno “preteso” che mi arrampicassi su una scala per tirare giù tutto il necessario per preparare l’albero di Natale ed il Presepio. La percentuale di scirocco è ancora elevata, ma il Natale è alle porte, Santa Cecilia è arrivata! Maestri tirate fuori clarini e rullanti, lucidate gli ottoni; massaie portate l’olio a temperatura mentre l’impasto aumenta di volume coperto da un panno caldo, ci siamo, sta arrivando…