mercoledì 15 novembre 2017

Antonino Russo

E’ un venerdì mattina.

Io e mia moglie siamo in via D’Aquino e passiamo davanti alla Chiesa del Carmine.

Basta scambiarci uno sguardo e, senza aggiungere altro, entriamo.

Segno di Croce, genuflessione e mano nella mano, procediamo per la navata centrale: un déjà-vu ci riporta al giorno delle nostre nozze.

Suoni ovattati provengono dalla Sagrestia: è l’opera instancabile di Michele.

Pochi fedeli presenti, raccolti in preghiera.


C’è qualcosa di diverso dal solito: non è lo sguardo dolcissimo della Vergine dalla posizione privilegiata del presbiterio o la candela accesa che indica la presenza del Sanissimo Sacramento nel tabernacolo.

Non si tratta nemmeno del simulacro della nostra Titolare o quello della Vergine Addolorata.

E’ “Gesù morto” nella teca alla nostra sinistra che richiama il nostro cuore, dolcemente combattuto tra la certezza della fede di adorare Cristo vivo nella Eucarestia e ammirare la dolcezza del Suo volto magistralmente rappresentata nel simbolo donato dalla Famiglia Calò alla nostra Arciconfraternita.

Quel volto che si presenta con gli occhi socchiusi non per indicare la vittoria della morte (dov’è la tua vittoria o morte? - Corinzi 15, 55) ma per segnare una sorta di preludio alla resurrezione: ecco, a me il simulacro di “Gesù morto” turba profondamente per questa tempesta di sentimenti contrastanti:

- la sofferenza, rappresentata dalle ferite su tutto il corpo

- la morte, che si può percepire dalla posizione del Cristo e alla quale il Gesù Crocifisso posto immediatamente al di sopra sembra dare un’enfasi temporale.

- la vita, la certezza della resurrezione, rappresentata da quello sguardo che sembra dire: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo – Matteo 28, 20”.

Uno squarcio di luce da quella teca, la stessa luce che doveva provenire dal sepolcro.

Non so quanti libri ci vorrebbero per descrivere i moti del cuore che questa sacra immagine provoca: ecco il ruolo fondamentale dei simboli per la pietà popolare!

E’ un dono grande quello di potersi raccogliere in preghiera davanti alla Sacra Effige di Gesù Morto che resta esposta alla venerazione per tutta la giornata del Venerdì dopo essere stata scoperta dal suo drappo rosso, al suono della Troccola, la sera precedente.

E’ un dono grande quello di poter professare la propria fede nella propria Chiesa, liberamente, un qualunque venerdì mattina.