mercoledì 7 gennaio 2015


Mattia Giorno


È consuetudine per noi confratelli parlare di “attesa” e rimandare i nostri pensieri ai giorni che ci separano dai tanto amati riti della Settimana Santa. In realtà l’attesa è qualcosa che va ben oltre la splendida processione dei Misteri; è qualcosa che ogni giorno, in ogni situazione della vita, tutti ci troviamo a vivere. Anche il Natale è preceduto da un’attesa che dura ben quattro settimane, circa trenta giorni che preparano l’animo di ogni cristiano ad accogliere la nascita del Salvatore, avvenuta qualche giorno fa.
Le quattro domeniche di Avvento rappresentano l’attesa circa l’incarnazione del Verbo e la sua venuta in mezzo a noi. Sono per tutti un momento importante, persino per chi in Cristo non crede.

In queste domeniche noi cattolici siamo soliti accendere quattro candele, che rappresentano l’avvicinarsi della venuta del figlio di Dio tra noi e, di conseguenza, sono segno che l’attesa per il Santo Natale sta per giungere al termine.

La parola stessa “Avvento”, letteralmente “venuta”, viene ormai intesa come “attesa”, e getta le sue radici in un passato molto remoto, precisamente tra il IV ed il VI secolo, dove era sempre più costante la necessità di creare un momento che precedesse il Natale. (Precisamente la prima celebrazione del Natale a Roma risale al 336, tuttavia non era ancora presente un tempo di preparazione a questa importante festività per i cristiani tutti.)

Le quattro domeniche d’Avvento sono comunemente chiamate con dei nomi, presi dalle prime parole dei salmi e dal libro di Isaia. La prima domenica di Avvento viene indicata come “ad te levavi” (a te innalzo), la seconda come “populus Sion” (popolo di Sion), la terza come “Gaudete in Domino semper” (rallegratevi nel Signore sempre) ed infine la quarta come “rorate Cœli desúper, et nubes plúant justum” (stillate rugiada, o cieli, dall'alto, e le nubi piovano il Giusto).
Queste quattro importanti date anticipano, come già detto, la venuta del Cristo tra noi. Come tutti sappiamo infatti, giovedì 25 dicembre, abbiamo accolto nelle nostre chiese, nelle nostre case, e nel nostro cuore, il figlio di Dio.

“Et Verbum caro factum est et habitavit in nobis”, queste le parole tratte dal Vangelo secondo Giovanni, per farci capire come il Verbo sia divenuto umano per vivere tra noi. Tornano inoltre suggestive alla nostra mente le parole della moltitudine dell’esercito celeste: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”. Tutto ciò ci rimanda alla venuta di un bambino, una creatura pura e casta, messa al mondo in tutta povertà. Proprio così, nelle mani di un bambino Dio ha posto la salvezza degli uomini, rendendolo guida di un popolo perduto e peccatore. Un neonato concepito in povertà e semplicità, nudo tra il gelo e cullato in una mangiatoia.

Questa è una storia che ormai tutti conosciamo, ma proprio questa storia deve spingerci a vivere con pienezza di fede e spirito caritatevole la nostra vita. Ogni azione deve essere da noi vissuta nello spirito del Natale, non quello del consumismo, ma quello cristiano, quello che ci porta ad agire con semplicità, umiltà e tanta gioia.

Nei prossimi giorni, in attesa di chiudere queste festività natalizie per lasciare posto alla Quaresima ed alla Santa Pasqua, auguro a tutti di vivere con amore e raccoglimento di spirito, per essere pronti a servire il prossimo con umiltà e semplicità come Cristo ci ha mostrato nel mistero della Sua venuta, priva di beni materiali ma ricca di amore, fede e gioia.