venerdì 16 gennaio 2015

Dal trattato "Brevi cenni sulla preghiera del corpo" di Giovanni Schinaia, una sintesi in tre puntate:

1) La preghiera del corpo nella Liturrgia (qui di seguito)

Nelle prossime settimane:

2) La preghiera del corpo nella Pietà Popolare
3) I gesti della nostra Settimana Santa, valore latreutico e valore simbolico - didattico


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La preghiera del cristiano è rivolta a Dio attraverso una pluralità di linguaggi: c’è anzitutto il linguaggio verbale, cioè le parole che vengono effettivamente pronunciate, se si tratta di preghiera comunitaria, o anche solo pensate, se si tratta di preghiera personale; e c’è il linguaggio non verbale, quello del corpo, con i gesti, le posture, i movimenti, gli atteggiamenti. Provenendo dal medesimo moto del cuore ed essendo entrambi delle espressioni con cui l’unica orazione viene elevata a Dio, i due linguaggi sono complementari l’uno all’altro e per questo motivo sono estremamente importanti. Lo sono per qualunque cristiano; e lo sono a maggior ragione per quanti zelano una spiritualità come quella della nostra Confraternita che, a ben ragione, potrebbe essere definita come una “spiritualità dei gesti”.

Il gesto e la postura, accompagnano dunque la parola nella medesima orazione. Tanto è particolarmente chiaro nella divina liturgia, specialmente nella celebrazione della Santa Messa che è il momento irrinunciabile per la vita del cristiano, il punto di partenza e insieme il fine ultimo a cui tendono tutti gli esercizi di pietà, il modello indefettibile al quale conformare ogni preghiera, ogni orazione. Tanto ha insegnato il Venerabile Servo di Dio, il grande Papa Pio XII nell’enciclica Mediator Dei: “L'augusto Sacrificio dell'altare è l’atto fondamentale del culto divino; è necessario, perciò, che esso sia la fonte e il centro anche della pietà cristiana”. Tanto ribadisce il Concilio Vaticano II nella Costituzione Sacrosantum Concilium: “… la liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia”.

Nel corso della Santa Messa i fedeli assumono tre posizioni fondamentali: in ginocchio, in piedi, seduti. Le tre posture corrispondono a momenti specifici e distinti della celebrazione. La posizione in ginocchio è quella dell’adorazione; essa va riservata all’adorazione del SS.mo Sacramento, al momento quindi della Consacrazione delle Specie Eucaristiche, al Canone, alla preghiera di ringraziamento dopo aver ricevuto la Comunione. La posizione seduti è quella dell’ascolto, al momento dell’omelia e alla proclamazione della Parola. Ma non alla proclamazione del Vangelo, che va ascoltato in piedi; la postura in piedi è inoltre quella dell’orazione, quella comunitaria, come il Gloria e la Professione di Fede, e quella che il Celebrante rivolge a Dio a nome del popolo e a cui il popolo aderisce, a seconda dei casi, in forma dialogica o con l’Amen conclusivo.

Ci sono poi i gesti, a partire dal segno di Croce che apre e chiude la celebrazione. Ci sono gli inchini, le genuflessioni, la mano sul petto al momento del “mea culpa”, le mani giunte nell’atto di adorazione e al momento di ricevere la Comunione. Guardare e acquisire consapevolezza, poi, dei gesti che si compiono sul presbiterio, fornirebbe materia non per una catechesi, ma per un lungo ciclo di catechesi! E in effetti il nostro don Marco Gerardo ne ha parlato diffusamente nelle predicazioni quaresimali del 2013. Al Santissimo Sacramento è dovuta sempre la genuflessione, alle immagini sacre invece, l’inchino. I ministranti si inchinano davanti al celebrante e davanti all’altare quando transitano da una parte all’altra del presbiterio. Celebrante e ministranti accompagnano con un lieve inchino i nomi di Gesù e Maria ogni volta che vengono menzionati nelle orazioni o nel Canone.

È un gesto la processione introitale del Celebrante con i ministranti, processione che rappresenta la Chiesa come comunità in cammino che “sale” all’Altare del Signore per la celebrazione del Santo Sacrificio; sono gesti i vari spostamenti del Sacerdote fra la sede, l’ambone e l’altare, i tre luoghi della celebrazione; sono gesti quelli compiuti con i sacri vasi, all’offertorio, alla Consacrazione, al momento dell’ostensione, alla comunione e alla purificazione finale; sono gesti le diverse genuflessioni e i diversi inchini del celebrante, che scandiscono l’intera celebrazione. Come sempre nella liturgia, niente da aggiungere e niente da togliere. A tal proposito un recente ottimo articolo su “Il Timone” del padre Henry Vargas Holguín riporta l’attenzione sulla pratica diffusa del prendersi per mano alla recita del Padre Nostro durante la Messa. È una pratica non prevista fra i gesti della liturgia; una pratica non sbagliata in se stessa ma di derivazione protestante. Ricorda Vargas Holguín come i protestanti, avendo – a suo tempo – rifiutato la Comunione eucaristica, esprimono la comunione ecclesiale mediate il prendersi per mano. I cattolici invece esprimono la comunione al momento di ricevere l’Eucaristia. Ecco uno di quei casi in cui basterebbe un po’ di consapevolezza per evitare di “contaminare” la liturgia.

La compostezza, la precisione, la puntualità e la dignità dei gesti compiuti sul presbiterio, acquistano non solo una funzione cultuale, ma anche una didattica. In altre parole, si tratta di gesti anzitutto finalizzati al culto divino, rivolti cioè a Dio, a cui è destinato il Santo Sacrificio che si compie sull’altare; ma allo stesso tempo quei gesti compiuti dal celebrante e dai ministranti hanno una funzione educativa nei confronti del popolo. I gesti e le posture al momento e nella misura adatti, saranno un esempio per il popolo che assiste e che si comporterà di conseguenza. Il sacerdote, in questo modo svolge la sua missione di educatore della comunità, non solo con le parole ma anche con l’esempio paziente e continuato. Il nostro Arcivescovo, mons, Filippo Santoro, nell’omelia della Santa Messa per l’inizio dell’Anno Pastorale diocesano, lo scorso 13 settembre a San Giovanni Rotondo, ha rivolto a tutti un forte richiamo proprio sull’importanza dei gesti nella liturgia. I segni, ha spiegato l’Arcivescovo, vanno compiuti bene, in modo che siano visibili e comprensibili. Il popolo, educato con la parola e con l’esempio, realizzerà così nel migliore dei modi quella “actuosa participatio”, quella partecipazione “attiva” che il Vaticano II auspicava ormai 50 anni fa.

Quante volte negli anni si è confusa quella “partecipazione attiva” con l’indebita intrusione di gesti estranei a quelli liturgici. A volte – come si è visto nel caso del tenersi per mano durante il Pater noster – in fin dei conti innocui se pur inopportuni; e a volte oggettivamente dannosi. Non è credibile che il popolo di Dio apprezzi quel celebrante che sul presbiterio, durante la celebrazione della divina liturgia, si comporta come un pagliaccio, aggiungendo o togliendo al rito secondo il proprio arbitrio, assumendo posture o atteggiamenti estranei a quelli prescritti. Ma il gesto inopportuno, lo sviamento dalla prescrizione liturgica inevitabilmente mortificherà e svilirà il Rito sacrificale, trasformando la Messa in un tristissimo “one man show” e i fedeli in spettatori e vittime inconsapevoli dell’altrui dappocaggine.

Non si tratta naturalmente di essere attaccati al formalismo fine a se stesso. Si tratta piuttosto della consapevolezza che il gesto liturgico, non diversamente dalla parola, intanto è valido in quanto è normato. Intanto si tratta di preghiera del corpo “liturgica”, in quanto è unica e “cattolica”, cioè universale, uguale a se stessa a tutte le latitudini, in tutte le Basiliche, santuari, parrocchie e oratori del mondo, che a celebrare sia il Papa o l’ultimo e più giovane sacerdote appena ordinato. Non è la liturgia il luogo della creatività o dei gesti “spontanei”. Per quello ci sono gli altri momenti di preghiera. Il popolo cristiano, sin dai primi secoli della storia della Chiesa, ha espresso il proprio sensus fidei nella preghiera personale e soprattutto negli esercizi di pietà popolare.... (Continua)