lunedì 25 gennaio 2016

Luciachiara Palumbo

Sono le 16.30, mi alzo dal letto dove ho cercato di riposare su consiglio di mia madre… Nel girarmi e voltarmi di continuo avevo guardato ripetutamente l’orologio aspettando con ansia questo momento. Per un attimo solo, alle 15 mi ero alzata ed inginocchiandomi avevo iniziato a piangere, chiaramente emozionata dal clima che da lì a poco mi sarei apprestata a vivere. Con immensa fretta mi sistemo il giubotto e sollecito papà a prepararsi in fretta, corro giù per le scale e con passo molto rapido ci avviamo insieme verso il Carmine…

Per la prima volta nella mia vita ed in quella di mio padre avremo la fortuna di osservare cosa accade nell’interno della Chiesa prima dell’uscita della Processione… Davanti alla porta della Sagrestia c’è una gran folla, mogli e parenti dei partecipanti che desiderano stringersi attorno ai loro cari e farsi posto tra i loro pensieri e nella loro immensa emozione.

Mi sento indegna di entrare, fuoriposto, guardo papà visibilmente preoccupata e mi chiedo se mai riusciremo ad entrare ma poi si fa largo tra la fiumana di gente un amico e ci indica di seguirlo. Calpesto lentamente il marmo dell’ingresso e poi della Sagrestia, osservo i miei piedi e le mie gambe tremolanti mentre tanti occhi ci guardano o forse guardando il vuoto immaginano di fissare gli occhi altrove. Alzo lo sguardo anch’io e dalle guance si sviluppa un calore fortissimo e poi un leggero solletichino parte dal naso e sfocia in lacrime che fuoriescono bollenti dai miei occhi… Oh si lo so cosa sto per guardare… 

Un piccolo anticipo del Paradiso qui sulla Terra. Ed allora uno, due e scendo il gradino… Sono in Chiesa. Chiudo gli occhi e mi lascio andare al rumore delle medaglie che in tante altre occasioni ha accompagnato i miei pensieri ma ora non è il momento di sognare, ora è il momento di toccare la realtà e di farlo con mano. 

Davanti all’altare Gesù dorme tranquillo dopo tanta sofferenza e con gli occhi semichiusi non smette tuttavia di guardarci e di vegliarci mentre Mamma Addolorata vorrebbe cadere tra le braccia di chi la guarda e soffocare così il dolore immenso e lancinante. Osservo loro, rispettivamente la statua preferita di mio nonno e la mia statua preferita e vorrei che lui fosse con me, vorrei che insieme appoggiassimo le mani sulle ferite di Cristo e che ci unissimo così in una preghiera incessante. 

Papà nel frattempo è andato avanti e constata come la disposizione dei simulacri non sia cambiata nel tempo. Aveva osservato le foto dai miei tanti libri e aveva desiderato di stare a contatto diretto, senza alcuna transenna, con quella cartapesta parlante. Lo raggiungo dinnanzi al portone grande che domani inciderà su se stesso tre nuovi colpi e aggiungerà nel suo album storico un nuovo volto ed un nuovo nome.
 
Voltandomi verso l’Altare inizio a camminare e analizzo ogni minimo dettaglio di quei Misteri non più lontani come una volta: Il Cristo all’orto e la sua sete d’amore, La Colonna e la sua sete di umanità, L’Ecce Homo e la sua umiliazione, La Cascata ed il peso della crudeltà, Il Crocifisso e la vittoria, la Sacra Sindone ed il vuoto dell’uomo senza Dio… Vorrei restare qui per sempre e farmi piccola piccola per sdraiarmi accanto a Gesù o grande grande per abbracciare Maria… Oh no, non è fanatismo, non è folklore… Gli istanti che precedono l’uscita della Processione sono tra i più toccanti di quelle ore.

La preghiera del Padre Spirituale ed il tric-trac della troccola che annuncia la notizia terribile e spaventosa della morte di Cristo e raduna un’intera popolazione, quella tarantina affinchè partecipi in silenzio al funerale più triste e speranzoso allo stesso momento che ci sia mai stato nella storia dell’umanità. 

Negli anni che seguiranno occuperò questo stesso posto, accanto alla nicchia dell’Addolorata e la mia emozione diventerà emozione di qualcun altro, stringerò la sua mano e lo accompagnerò in un viaggio di commozione che non si esaurisce mai… E gli sussurrerò all’orecchio quasi osando con i termini “Benvenuto in Paradiso”.


ph. Emanuele Damone