venerdì 6 aprile 2018

Luciachiara Palumbo - San Domenico

Percorsa per intero Via Duomo, quasi un labirinto tra abitazioni antiche e talvolta abbandonate perché deteriorate, una piccola scaletta si presenta alla nostra destra, sulla quale una fila interminabile di persone cerca di raggiungere la sommità di un edificio non facilmente osservabile dalla nostra posizione.

Facendo giusto qualche passo in avanti, eccola sorgere dinnanzi a noi la maestosa e mastodontica scalinata, simbolo della Chiesa di San Domenico. La nostra narrazione non avviene in un giorno qualsiasi dell’anno, quando quel tratto di strada, chiamato dialettalmente “u Punnine”, è solitamente deserto ma in uno dei nostri Giovedì Santo, quando i tarantini, compiendo il tradizionale pellegrinaggio ai “Sepolcri”, non tralasciano di visitare quello speciale Tempio che condivide con il Carmine il ruolo di custode della tradizione. 

L’atmosfera che si può respirare in questo tardo pomeriggio è unica e irripetibile: dalla sommità del Pendio, dove noi ci troviamo, è possibile osservare la gente che, scesa dalla scalinata, si dirige verso la prossima tappa del cammino tradizionale.

La strada buia è illuminata dai fari di Studio 100 che, montate le sue impalcature in corrispondenza del portone della Chiesa, prepara la diretta, di qui a poco trasmessa in tv per tutti i cittadini e non, che desiderano conoscere e condividere uno dei momenti più particolari della Settimana Santa di Taranto. Piccole candele, disposte sulle ringhiere dell’imponente scala, offrono un tono solenne e emozionante allo scenario tutto tarantino che si manifesta ai nostri occhi.

 La nostra posta, la posta che stiamo seguendo passo passo in questo lungo e affascinante percorso è ora pronta per entrare in Chiesa: con estrema attenzione, piegando il cappuccio in avanti per mettere a fuoco il pavimento, i perdoni si innalzano, gradino dopo gradino, fino a giungere sul ballatoio che li separa dall’interno. Si abbassano il cappello e lentamente si avvicinano all’altare della Reposizione, mentre alcuni addetti cercano di fare spazio tra la folla, che rumorosa viene più volte richiamata al silenzio. 

Una voce al microfono ripete costantemente “Sia lodato e ringraziato ogni momento il Santissimo e Divinissimo Sacramento”, una frase che mi rimanda indietro negli anni, mi riporta a quando ero bambina e i miei genitori mi invitavano a ripeterla per salutare Gesù. Il profumo di incenso, il suono delle medaglie nel momento in cui le due coppie davanti al Sepolcro si salutano col tradizionale “salamelìcche” e la preghiera pronunciata ad alta voce dal gruppo di consorelle dell’Addolorata, trasferiscono in me emozioni inspiegabili, legate al ricordo vivo di un’infanzia che è stata preambolo per quello che sono ora.

I nostri confratelli, inginocchiatisi dinnanzi al Santissimo, Lo pregano a volto scoperto, fissandoLo intensamente e commuovendosi per la Bellezza con cui Esso si manifesta proprio in questo momento a loro. Poi, abbassato nuovamente il cappuccio, si alzano e si incamminano verso la Mamma di tutte le mamme che, collocata nell’ultima cappella sulla sinistra, si lascia travolgere dalla preghiera continua dei pellegrini, confratelli e non.

I piccoli lumi, disposti sotto l’Addolorata, ne illuminano il volto livido a tal punto che il loro riflesso fa sembrare i Suoi occhi gonfi di lacrime, intrappolate nel dolore. Una cadenzata nazzicata al Suo cospetto, un inchino veloce e poi la coppia di perdune scompare nei saloni nascosti della Chiesa, per uscire dal retro e immettersi in una stretta viuzza che costeggia lateralmente il sagrato.

Ciò che hanno visto, ciò che hanno udito e ancor più ciò che hanno provato, resta segreto nella mente dei confratelli che in silenzio percorrono la discesa, avviandosi verso la penultima tappa del cammino. Quando poi rientreranno al Carmine, non vi sarà alcun bisogno di parlare e, ritornati nei panni di uomini comuni, si saluteranno con un abbraccio, consapevoli di aver sfiorato il cielo con un dito e di aver assaporato la pienezza dell’amore di Dio.