lunedì 30 gennaio 2017

Umberto De Angelis

Molto spesso, in questo periodo che sentiamo definire come “digital”, “social e multimediale”, le parole e il loro significato assumono sempre meno importanza. Si pensa all’immediatezza del messaggio, alla velocità di scrittura, al poco tempo da dedicare alla comunicazione e spesso, al contrario, si dedica troppo tempo ad una comunicazione scritta (in chat), spezzettata, frammentaria e diluita nel tempo, che non può e non riesce a sostituirsi alla comunicazione verbale o a quella visiva “in presenza” che si completa di quella parte di comunicazione “non verbale” fatta di sguardi e di gestualità.


La scelta e l’utilizzo delle parole passa in secondo piano. Non solo i ragazzi, ma sempre più spesso gli adulti utilizzano parole fuori luogo, spesso non conoscendo il loro significato o le differenze con altre parole ormai considerate (a torto) sinonimi. Ogni parola all’interno di una frase o un discorso ha un suo peso, assume un significato a volte diverso, se utilizzata per esprimere contenuti o emozioni diverse.

Molte parole spesso diventano di moda, usate e spesso abusate, appiattiscono il più delle volte la bellezza di una comunicazione articolata, che richiederebbe maggiore profondità di pensiero, maggiore attenzione o delicatezza, passione o razionalità.

Alcune parole spesso utilizzate da giovani e adulti con immediatezza possono risultare offensive, portare a fraintendimenti, incomprensioni che alcune volte si trasformano in offese.

Molto spesso affidare un concetto o un’emozione solo ad un messaggio scritto può dare l’illusione di essere presenti, partecipi, coinvolti, ma se nel tempo quel messaggio non è mai accompagnato da un colloquio diretto alla lunga risulta povero, limitato, incompiuto, figlio di una consuetudine.



Quanti “colloquiano” per ore al cellulare con sms, nelle chat, sui social e poi se si incontrano per strada, si riconoscono e neanche si salutano o fanno finta di non vedersi (per non perdere tempo in chiacchiere?), magari riprendendo a scriversi subito dopo.

Allo stesso tempo non si deve cadere nell’esatto opposto in cui, pensando di esprimersi più correttamente o con maggiore profondità di pensiero, si debbano necessariamente ricercare e utilizzare parole dal difficile significato, desuete o da “dottori”.

Il giusto equilibrio in tutte le cose ci permette sicuramente di cogliere tutti quelli che possono essere gli aspetti positivi di questi nuovi tipi di comunicazione, sia per coloro che sono definiti “nativi digitali”, che hanno vissuto fin dalla nascita in simbiosi con le nuove tecnologie digitali, sia per quelli che sono “nativi analogici” o “immigrati digitali”, che hanno dovuto abituarsi ad usare le tecnologie digitali da adulti.

Quello che è importante e che resta sempre al centro di tutto è la “forza” della parola, dei termini che utilizziamo e del modo con cui comunichiamo.

Se proprio dobbiamo scrivere, pensiamo a quello che vogliamo scrivere, non lasciamoci solo guidare da una guida sul cellulare che ci suggerisce le parole che spesso possono risultare poco appropriate.

Cerchiamo di recuperare quando possibile e sempre più spesso il colloquio verbale, che proprio con i cellulari è diventato sempre più accessibile per tutti, anche se di persona magari ci si incontra molto meno.

Dedichiamoci “all’ascolto”, non limitiamoci solo a inoltrare sui vari “gruppi social” le ormai inflazionate immagini con dediche per ogni occasione e per ogni momento della giornata e dell’anno. Sono sicuro che farà più piacere, a noi e alle persone a cui vogliamo bene, sentire uno squillo telefonico seguito da: “Ciao, come stai? … e da tanto che non ci sentiamo … ti chiamavo perché mi fa piacere risentirti e volevo parlare un poco con te ….”.



Buona comunicazione a tutti.