martedì 28 marzo 2017

Claudio Capraro

Leggo con piacere del procedere dei lavori di ripristino e consolidamento della chiesa di Monteoliveto in città vecchia o per usare il suo nome corretto la chiesa della Madonna della Salute. E mentre spero in una veloce riapertura, ritorno con i ricordi agli anni ’70 quando bambino, mi capitava spesso di accompagnare mio padre in quella chiesa. Non rammento se fosse ancora aperta al culto, probabilmente no, ma veniva utilizzata per eventi culturali come ad esempio quegli organizzati dalla Società di Storia Patria. Ricordo di un luogo bellissimo in una città vecchia che proprio in quegli anni subiva l’ennesimo svuotamento, questa volta in direzione Paolo VI. Così come ricordo la chiesetta posta esattamente di fronte a Monteoliveto, Sant’ Andrea degli Armeni. Entrambe, due pregevolissimi esempi di grande valore artistico, storico e architettonico.


E allora comincio a sognare, con l’approssimarsi dei nostri giorni, di un giovedì santo con tante chiesa della nostra isola aperte, con l’altare della reposizione allestito e con la possibilità di un pellegrinaggio lungo e che possa toccare tanti luoghi che i nostri avi hanno toccato. Luoghi nei quali si sono accese anche, nei secoli passati, liti e diatribe sfociate poi con la famosa “dritta” assegnata al nostro sodalizio con tanto di carte bollate e sentenze. E visto che sognare è bello e non è vietato, chiudo gli occhi, metto da parte tutti i problemi e le restrizioni che ad un disegno di questo genere si potrebbero opporre, e comincio ad immaginare.

Giovedì Santo, le tre del pomeriggio; quasi in contemporanea dal portone della sacrestia su via Giovinazzi e dal portone della chiesa del Carmine su piazza Giovanni XXIII fanno la loro apparizione le due prime poste, quella di campagna e quella di città. Alle loro spalle, una volta chiusi i due portoni, sono pronte le altre coppie che man mano usciranno. Il sole è caldo anche se ogni tanto qualche nuvola lo copre mossa dal vento che soffia dal canale navigabile in direzione arsenale. La gente è tanta. Man mano che le poste di città escono, iniziano ad occupare via D’Aquino dirette in città vecchia.

Passato il ponte girevole, i camici attaccati alle gambe per il forte vento mentre gli addetti provvedono a stringere meglio il nastro dei cappelli alla cintura in vita per evitare che possano volare via dalla testa, si svolta subito a sinistra in direzione del castello Aragonese: primo altare della reposizione San Leonardo. Il passaggio suggestivo sul ponte del castello fa scatenare i fotoamatori, poi si entra nella piccola cappella nella quale spiccano oltre i simboli sacri, quelli dell’araldica militare.


Usciti dal castello, si imbocca via Duomo, ma solo per un breve tratto. Svolta a destra, si va a Sant’Agostino. Dopo l’adorazione genuflessi davanti al Santissimo, ripercorrendo Via Sant’Agostino e fermandosi a salutare le poste che vengono in senso inverso si ritorna sulla strada Maggiore, ancora pochi metri e sulla sinistra si trova San Michele. Anche qui oltre le immagini sacre ed in particolare quella lignea della Vergine Immacolata quello che spicca sono gli stendardi dell’Ordine di Malta a cui è affidata la cura della chiesa.

Penso che questo differente percorso del pellegrinaggio stia evitando l’incedere lentissimo delle prime poste che in passato dovevano attendere la fine della Missa in Coena Domini al Duomo prima di poter arrivare ed entrare e che quindi procedevano con passo estremamente più lento di quello già lento della normale nazzicata.

Si prosegue, sempre su via Duomo, ma superata a sinistra la scalinata di Vico Via Nuova, quando ormai San Cataldo è prossimo, ecco una svolta a sinistra su Via Paisiello. La strada in leggera pendenza e curvando verso sinistra, prima di sfociare nella piazzetta Monteoliveto, ci fa passare davanti alla purtroppo diroccata casa del compositore le cui fortune furono lontane dalla sua terra natia. Si entra nella chiesa della Madonna della Salute; da quanti anni, quanto tempo, quanti ricordi. La gente della zona è contenta e festante per questo ritorno. I fotografi non possono lasciarsi sfuggire questo momento. I confratelli più anziani sembrano distanti, la loro mente è altrove, qualcuno asciuga con un fazzoletto di cotone gli occhi arrossati. E’ stato allestito un altare semplice, ma bellissimo proprio nella sua semplicità. L’inginocchiatoio è stato recuperato dai magazzini della stessa chiesa, era scampato alle razzie. I cuscini rosso vermiglio sono stati rifatti per l’occasione mentre il legno presenta visibile l’opera incessante dei tarli e quando i due appoggiano le loro ginocchia su di esso, lo scricchiolio è notevole.

Dopo un paio di minuti in preghiera si ode, definito e inconfondibile il suono dei medaglieri della seconda posta. “Sia lodato Gesù e Maria”, “Sempre sia lodato”; ci si copre il volto, ci si rialza aiutandosi con il bordone, genuflessione, abbraccio, di nuovo il cappello in testa uscendo dalla chiesa e si riprende il cammino. La lavanda dei piedi ha avuto luogo in Duomo e la Messa durante la quale viene fatta memoria dell’istituzione dell’Eucarestia da parte di nostro Signore Gesù Cristo, volge ormai alla fine, si può procedere verso San Cataldo. Proprio in questo luogo, anche se era venerdì santo e non giovedì del 1881, Nicola Caputo ambienta il primo capitolo de “L’anima incappucciata” che per tutti noi che ci cimentiamo a scrivere di settimana Santa e di tradizioni religiose della nostra città, rappresenta il testo fondamentale.

Si arriva al Duomo gremito di gente. La funzione è terminata da pochi istanti, e nelle navate il profumo dell’incenso è ancora intenso. I banchi vengono spostati velocemente al fine di sgombrare il passaggio così come la scala che conduce al cappellone viene fatta liberare dai fedeli. I due pellegrini, terminata la loro preghiera, una volta avvisati dell’arrivo della coppia successiva, riprendono il loro giro che quest’anno si sta rivelando più lungo ed intenso, ma con la possibilità di fermarsi in preghiera ed adorazione al Santissimo in maniera più frequente.

La prossima tappa sarà San Domenico; le scale da salire presenteranno meno ostacoli di quanti non se ne incontreranno al momento di effettuare la discesa. Una volta dentro subito diretti all’altare della Reposizione e poi dalla Vergine Addolorata per l’abbraccio. Lei è pronta sui cavalletti pronta ad affrontare la notte che l’attende. Ai suoi piedi fasci di fiori profumati, candele accese e fedeli in preghiera. L’accompagneranno per tutto il suo pellegrinaggio tra qualche ora.

Si scende il pendio, si lambisce piazza Fontana e ci si infila in via Garibaldi, direzione San Giuseppe, ma visto che sto sognando e come ho già detto nei sogni tutto è possibile, allora i due pellegrini incappucciati, arrivati ad un certo punto si infilano (come facciano non lo so) in Vico Santi Medici diretti alla chiesetta più piccola dell’isola, quella dove dopo il restauro e la riapertura (continuo a sognare) sono state riportate le due statue dei due fratelli medici Cosma e Damiano con i loro vestiti rossi e verdi.

Ritornati alla luce dei lampioni e all’aria di via Garibaldi, è un passo fino a San Giuseppe. La chiesa posta sulla marina accoglie i due pellegrini che ormai sono avviati verso la conclusione del loro cammino. Usciti si avviano verso il pendio La Riccia dove sosteranno il tempo di un abbraccio davanti alla casa di Sant’Egidio prima di riprendere il ponte girevole e far ritorno al borgo umbertino. Via Matteotti, via Margherita e di nuovo su via D’Aquino, meta finale il sepolcro della chiesa del Carmine: si torna a casa.

Ed il rientro lo si fa con le note della banda che in quel momento sta intonando “Venerdì Santo” e allora si rallenta, ci si ferma, si spingono gli omeri vicendevolmente e ci si nazzica. Non vogliono perdersi una nota e finita la marcia quando dovrebbero avviarsi verso l’ingresso della chiesa lo fanno in maniera estremamente lenta, i piedi sono incollati all’asfalto. Sussurrano tra loro; si dicono di aspettare che adesso il maestro chiamerà a raccolta i musicanti e darà il via ad un nuovo brano. E così succede davvero, le note sono quelle di “A Gravame” e anche se i due sono intenzionati a “farsela tutta”, devono tener conto delle indicazioni dei responsabili della confraternita e quindi dopo qualche minuto, a passettini, poco alla volta fanno il loro ingresso al Carmine per la loro ultima preghiera davanti al Sepolcro.


E’ finito questo pellegrinaggio immaginario, mi risveglio dal sogno. Un sogno di un giovedì Santo diverso, sicuramente impossibile, ma soprattutto il sogno di una Taranto ed in particolare di una Taranto vecchia diversa da quella attuale, abbandonata al suo destino.