giovedì 7 aprile 2016

Luciachiara Palumbo

Poco più di due anni fa ho avuto in dono un paio di ali che molto spesso uso per volare in alto nel cielo della fantasia e dell’emozione. 

Queste ali grandi e potenti hanno un nome, Nazzecanne Nazzecanne. Nel Febbraio del 2014, alle porte della Quaresima ho iniziato a scrivere e le parole non sono state mai spese solo come dimostrazione di ciò che facciamo ma come espressione di un fuoco interiore che certe volte diventa così insopportabile da farmi impazzire.

 Allora fuggo, scappo lontano dalla realtà in una dimensione di sogni e passioni rinchiusa in una piacevole gabbia fatta di fogli e penne. Articoli e articoli di ricordi e immaginazione, di progetti e speranze… Frasi lunghe e brevi che in due giorni si sono staccate dalle pagine rendendo i fogli bianchi e vuoti. 

La Settimana Santa di una Luciachiara bambina ha cambiato colore, tutti i gesti, i rituali si sono trasformati o forse hanno trasformato me. Se solo per un attimo mi fermassi a pensare a cosa più di tutto mi ha lasciato un segno, senza ombra di incertezza risponderei la Domenica delle Palme. La processione da Piazza Maria Immacolata, la lettura della Passione di Cristo, le lacrime nel momento cruciale del Vangelo, la banda, lo scambio di auguri, il pranzo… Tutto uguale agli altri anni eppure sui miei occhi era adagiato un sottile velo di emozione che si sarebbe staccato in una goccia di lacrime solo poco più tardi.

 Via Anfiteatro al buio, illuminata dalla luce opaca dei lampioni, percorrevamo in quattro… io, il mio fidanzato, il futuro compagno di posta e mio padre. La serata non era calda ma il cappello in testa mi faceva sudare, ero preoccupata, agitata, ansiosa più di chi di lì a poco si sarebbe aggiudicato la 19° posta di città vecchia.

Un’enorme folla di confratelli era radunata davanti al Palazzo ed io immediatamente per rispetto ma anche per eccessiva timidezza mi sono fermata e dopo un veloce in bocca al lupo sono ritornata a casa. In quel momento il tempo ha rallentato il corso, le ore sembravano non passare mai e l’attesa, l’attesa mi spezzava in mille pezzi. 

Ero sola con i miei pensieri e le mie preghiere mentre guardavo la televisione senza capire cosa dicessero e cosa facessero. A mezzanotte la mia casa era immersa in un silenzio incredibile, neanche il mio cellulare sul comodino emetteva alcun suono ed io che cercavo invano di addormentarmi per pochi istanti guardavo sempre e solamente l’orologio… Poi all’improvviso arrivò il messaggio e tutto ciò che avevo provato cadde nel vuoto esplodendo in una felicità assurda che forse non sapeva davvero cosa sarebbe accaduto. 

Sotto una piccola pioggia fastidiosa ho percorso il primo vero pellegrinaggio della mia vita, avevo le scarpe e non indossavo il cappuccio ma il mio cuore palpitava come quello dei due perdoni che ho seguito per otto ore… La stanchezza era piacevole ed il semplice pensiero della loro penitenza mi dava una marcia in più per andare avanti.
 

Tantissime volte sorridevo loro sapendo che in ogni caso da quei piccoli fori mi avrebbero visto e avrebbero così potuto trovare sollievo al dolore alla schiena o al bruciore della pianta dei piedi che si graffiava sull’asfalto vecchio di Via Garibaldi… Mi bastava il tintinnio delle medaglie, il brusco battito del bordone a terra per essere felice, per non sentirmi sola. 

Accanto a me per un bel pezzo di strada ho avuto figure familiari ma in cuor mio non vedevo l’ora di restare sola accanto a loro in un religioso silenzio che da solo parlava, da solo esprimeva il coronamento di un sogno intrappolato nelle pieghe della mente e che ora libero non correva ma nazzicava nel cuore della mia casa… Taranto