Giovanni Schinaia
La storia della teologia delle immagini, sin dai primi secoli del cristianesimo, ha impegnato apologeti, Padri della Chiesa, teologi, e ha riempito le pagine di trattati e di documenti conciliari.
La storia della teologia delle immagini, sin dai primi secoli del cristianesimo, ha impegnato apologeti, Padri della Chiesa, teologi, e ha riempito le pagine di trattati e di documenti conciliari.
La furia iconoclasta
Concilio II di Nicea |
Nell’VIII secolo la discussione sulle immagini sacre si fece talvolta anche violenta, coinvolse interessi politici ed economici, intervennero imperatori, madri degli imperatori, funzionari imperiali, oltre che naturalmente vescovi e teologi.
Qual era il problema? Ci si interrogava sul senso della venerazione da tributare alle immagini. E qualcuno ritenne che tale venerazione potesse facilmente sfociare in una sorta di iconolatria. Cioè una forma di idolatria che aveva al centro le immagini. E per questo si arrivò a più riprese addirittura a ordinare la distruzione di tutte le immagini sacre. Ci vollero concili, riunioni, tentativi di mediazione per arrivare ad una pacificazione. Ed è questo il motivo per cui nelle liturgie bizantine, orientali in genere, da allora fino ad oggi l’immagine sacra, l’icona ha un ruolo di primissimo piano. Si tratta di una specie di reazione risarcitoria rispetto alla tempesta dell’iconoclastia.
Infine il II Concilio di Nicea nel 787, che è anche il VII Concilio ecumenico della storia della chiesa, sembrò mettere definitivamente le cose a posto, consentendo il culto delle immagini con dei dettami e degli insegnamenti che naturalmente consideriamo pienamente validi ancora oggi.
Il quadro normativo della Pietà Popolare
Al II Concilio di Nicea si sono richiamati nel tempo innumerevoli documenti magisteriali, non ultimo la Sacrosantum Concilium – la costituzione sulla Liturgia del Concilio Vaticano II – e il Direttorio di Pietà Popolare e Liturgia emanato nel 2002 dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Attualmente, gli insegnamenti del Vaticano II da una parte e il Direttorio del 2002 dall’altra, costituiscono un po’ il quadro di riferimento normativo per tutti quelli che come noi hanno a cuore la pietà popolare, quella rettamente intesa, cioè quella che ha come fine ultimo la evangelizzazione, la trasmissione della fede.
Concilio Vaticano II |
Leggiamo nell’ultimo capitolo, il VII, della costituzione conciliare Sacrosantum Concilium:
(Le immagini sacre) – scrivono i Padri Conciliari nel 1963 – per loro natura, hanno relazione con l'infinita bellezza divina che deve essere in qualche modo espressa dalle opere dell'uomo, e sono tanto più orientate a Dio e all'incremento della sua lode e della sua gloria, in quanto nessun altro fine è stato loro assegnato se non quello di contribuire il più efficacemente possibile, con le loro opere, a indirizzare religiosamente le menti degli uomini a Dio.
Allo stesso modo della Sacrosanctum Concilium, il Direttorio su Pietà Popolare e Liturgia del 2002 ci dice che le immagini sacre possono essere “bellissime e piene di sentimento”, e la loro “contemplazione continua ad alimentare la fede e l’esperienza religiosa dei fedeli.” (41)
Sempre il Direttorio cita a più riprese quel Concilio II di Nicea, offrendoci peraltro una traduzione ufficiale più moderna rispetto alle precedenti. In particolare al 238, così cita:
“noi definiamo con ogni rigore e cura che, a somiglianza della raffigurazione della croce preziosa e vivificante, così le venerande e sante immagini, sia dipinte che in mosaico o in qualsiasi altro materiale adatto, debbono essere esposte nelle sante chiese di Dio, sulle sacre suppellettili, sui sacri paramenti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle vie; siano esse l’immagine del Signore Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, o quella dell’immacolata Signora nostra, la santa Madre di Dio, dei santi Angeli, di tutti i Santi e giusti”.
Il fondamento del culto delle immagini
Insomma, ci dice il Direttorio che alla base di tutto c’è l’incarnazione di Cristo, quel Gesù, quel Verbo incarnato che è dato a noi come immagine del Dio invisibile. E questo è il fondamento del culto delle immagini, che sono per noi un simbolo, un mezzo, un veicolo che ci riporta a un Mistero a una verità suprema. Ed è un culto che che , “oltre che un significativo fatto liturgico, è un elemento rilevante della pietà popolare: i fedeli pregano dinanzi ad esse (le immagini), sia nelle chiese sia nelle proprie abitazioni. Le ornano con fiori, luci, gemme; le salutano con varie forme di religioso ossequio, le portano in processione, appendono presso di esse ex-voto in segno di riconoscenza; le collocano in nicchie o in edicole erette nei campi e lungo le vie.” (239)
Il retto culto nella retta Pietà Popolare
La pietà popolare, in ogni sua forma, deve essere un prolungamento dei gesti liturgici. Nella aderenza alla sostanza della liturgia, che è la preghiera ufficiale della Chiesa, troviamo un infallibile criterio di purezza e bontà dei pii esercizi, processioni, devozioni varie, che sono invece preghiera popolare. Un veicolo diverso, un veicolo che parla magari la lingua del cuore, dei sentimenti, piuttosto che la lingua della logica razionale, ma che deve avere come meta, la stessa della liturgia.
E infatti sempre il Direttorio prosegue al n. 239:
La venerazione delle immagini tuttavia, se non è sorretta da una illuminata concezione teologica, può dare luogo a deviazioni. È necessario pertanto che venga illustrata ai fedeli la dottrina della Chiesa, sancita nei concili ecumenici e nel Catechismo della Chiesa Cattolica, sul culto alle sante immagini.
La dottrina sulle immagini sacre
Qual è questa dottrina?
Secondo l’insegnamento della Chiesa, le immagini sacre sono:
- trascrizione iconografica del messaggio evangelico. È evidente che l’immagine non può contraddire la parola evangelica. Questo non significa che l’artista non possa dare voce, anzi immagine, a quel ricco
immaginario devozionale che, seppur non confermato dalla lettera evangelica, nemmeno la contraddice. Un esempio per tutti: l’incontro fra Gesù e Maria sulla via del Calvario. Un incontro di cui nessuno dei Vangeli canonici ci parla, ma che è stato fonte di ispirazione per innumerevoli capolavori di arte sacra
- santi segni, i quali, come tutti i segni liturgici, hanno Cristo come ultimo referente; È utile in proposito ricordare che la santità dei testimone cui noi tributiamo venerazione, è tale perché imitazione, partecipazione alla santità di Cristo.
- memoria dei fratelli Santi. In questo senso la memoria dei fratelli Santi ci ricorda la comunione che mai deve venir meno fra chiesa militante – noi, ancora impegnati nella buona battaglia – chiesa purgante e chiesa trionfante.
- aiuto nella preghiera: la contemplazione infatti delle sante immagini facilita la supplica e sprona a rendere gloria a Dio. La nostra fede è estremamente pratica, quasi fisica, corporale. Le immagini narrano una vicenda, esprimono, attraverso gli attributi iconografici, la natura e le caratteristiche di una santità. È chiaro quindi che la contemplazione di queste immagini costituisca per noi un aiuto nella preghiera.
- stimolo all’imitazione, perché «quanto più frequentemente l’occhio si posa su quelle immagini, tanto più si ravviva e cresce, in chi le contempla, il ricordo e il desiderio di coloro che vi sono raffigurati». La santità non va solo contemplata ma soprattutto imitata.
- forma di catechesi, perché attraverso la storia dei misteri della nostra redenzione, espressa con i dipinti e altri modi, il popolo viene istruito e confermato nella fede. Come non pensare al ruolo insostituibile che l’arte sacra ha avuto nei secoli, nell’istruire masse di fedeli spesso analfabeti, o comunque non in grado di accedere alle verità della fede mediante lo studio o la logica razionale. I cicli dei Santi, uno su tutti, il ciclo di San Francesco dipinto da Giotto nella Basilica di Assisi: una libro fatto di illustrazioni, capaci di parlare al cuore di qualunque uomo vi avesse poggiato lo sguardo, non meno di quanto un libro di parole sarebbe stato capace di fare con la mente di uomo dotto.
Arte sacra e Settimana Santa
Il Venerdì Santo celebriamo la Passione del Signore. Quell’Azione Liturgica che pure senza il Santo Sacrificio che si compie sull’Altare, rimane una delle liturgie più belle dell’Anno Liturgico. Facciamo memoria liturgica della Passione del Signore. Dopo quell’azione liturgica la parola passa alla preghiera popolare. Portiamo in strada le sacre immagini, lo facciamo scalzi, col viso coperto. Lo facciamo con indosso l’abito della nostra Confraternita, un abito che già nel colore, nella foggia, rappresenta un messaggio, racconta una storia, esprime una identità, conferma una più radicale scelta di vista cristiana. Quella processione della Settimana Santa cosa è? Un racconto di quegli stessi Misteri che abbiamo contemplato nella liturgia, ma un racconto fatto con un altro linguaggio, il linguaggio della penitenza e il linguaggio delle immagini sacre. Ecco allora la giusta venerazione il giusto onore che noi tributiamo alle nostre immagini. Certo ci possiamo umanamente affezionare all’oggetto, che il più delle volte ha anche giustamente un pregio artistico, quindi un valore materiale. Ma ricordiamo sempre che l’immagine non è venerata per se stessa. Altrimenti avrebbero ragione gli iconoclasti dell’VIII secolo e avrebbero ragione i protestanti di oggi che fra le critiche che ci muovono non fanno mai mancare quella di iconolatria e mariolatria. I pagani nelle celle dei templi custodivano la statua del dio e si riteneva che in essa abitasse il Dio. C’era una forma di identificazione fra il simulacro e il Dio. per cui entrando nel Sancta Sanctorum si aveva la convinzione non di essere al cospetto di un oggetto sacro, ma alla presenza dello stesso dio. Il nostro sentire è lontanissimo dalle primitive credenze dei pagani. Noi non operiamo quella identificazione. La presenza del nostro Dio è nel Sancta Sanctorum di tutte le chiese del mondo; è presenza eucaristica, reale, fisica.