mercoledì 2 marzo 2016

Emanuele Damone

La paura nell'orto del Getsemani, il dolore della flagellazione, la derisione della corona di spine, la sofferenza della Croce, i chiodi nelle mani.

Tante sono state le sofferenze di Gesù nella sua Passione, ognuna rappresentata nella nostra processione da una statua.

Leggendo la Passio nei quattro Vangeli è difficile notare a prima vista qualcosa di "bello". Il nostro Salvatore viene picchiato, sputato, insultato. Nulla può far pensare a qualcosa di piacevole.

Ma poi guardi le nostre statue, il Gesù nell'orto del Getsemani di Sacquegna, i tre "fratelli" di Giuseppe Manzo fino ad arrivare allo sguardo dolcissimo della Mamma Addolorata. Non si rimane certo indifferenti davanti a tanta maestria, la cartapesta sembra vera, per un momento ti sembra di essere presente, vivo spettatore del suo dolore. Con quei visi espressivi, quei particolari studiati, i colori ricercati, ecco che per incanto la flagellazione del Cristo diventa qualcosa di "bello".

Le statue si fanno voce del Vangelo, diventano mezzo diretto per la conoscenza dell'insegnamento cristiano, un catechismo itinerante per chiunque veda il passaggio della Processione dei Misteri.

I nostri Riti ci trasmettono quella bellezza semplice ed immediata che è alla base del nostro Credo religioso.

Nelle nostre statue si uniscono queste due grandi realtà: vi è la bellezza materiale dei simulacri, cartapesta modellata ad arte da mani sapienti; ma vi è anche quel "bello", molto più profondo, che è la nostra fede. Gesù ha sofferto per noi, è morto per salvarci. E queste atrocità subite ci devono far riflettere su quanto sia grande il Suo amore. Solo allora riusciremmo a capire il vero senso dei nostri Riti, solo così capiremmo perché la nostra Processione ci trasmette queste sensazioni.

La bellezza è un dono di Dio, va contemplata e protetta.

Fra tre settimane stringiamoci intorno alle nostre statue, e intimamente pregando, capiremo quanto sia bello tutto ciò che Lui ha fatto per noi.