venerdì 3 marzo 2017

Inizia oggi una serie di articoli della nostra Luciachiara sulle Marce Funebri..buona lettura e buona Quaresima a tutti voi. 
S.P.


Luciachiara Palumbo

Le marce funebri, tantissime volte definite “colonna sonora” dei nostri riti, sono molto di più di un semplice accompagnamento. Raccontano più efficacemente delle parole utilizzate nei nostri articoli le sensazioni, le emozioni e la storia di ognuno di noi… Strano vero?

I suoni sono sempre gli stessi, uguali per tutti, eppure nelle nostre menti evocano ricordi e gusti personali che nessuno mai potrà conoscere fino in fondo, nonostante si sforzi di mettersi nei nostri panni.

Allora ho pensato così di narrare una storia vera, la storia di tutti noi attraverso i suoni e le parole, nella speranza che insieme possano provare ad avvicinarsi un tantino di più al groviglio di stati d’animo che sono nascosti nel nostro cuore. E’ la musica che parla perché il linguaggio non basta più…

Giovedì Santo

Il sole, nascosto per l’intero corso della giornata dietro i grossi nuvoloni grigi, inizia a calare lasciando una rossiccia luce primaverile che illumina i tetti bianchi dei palazzi. La gente cammina ai lati dei cordoni verdi di Via D’Aquino e Via di Palma, mantenendo il solito ritmo veloce del passo… come se nulla fosse… 

Solo alcuni, donne, uomini e soprattutto bambini sembrano attratti da qualcosa di diverso.

Nelle solite strade percorse il sabato sera da una fiumana di gente proveniente dal borgo, dalla periferia e dalla provincia, si vedono alcune figure particolari, strane, direi quasi inquietanti… E nel silenzio di un pomeriggio come tutti gli altri, i perdoni muovono i loro lentissimi passi ritmati da una Marcia in lontananza che tra poco li raggiungerà.
Ph.Emanuele Damone

L’orecchio esperto riconosce il suono, si avvicina la banda mentre esegue Giovedì Santo di Bonelli… Le piccole note iniziali, lente, martellanti e costanti invitano le poste a coordinare i movimenti, sono il risveglio dell’anima incappucciata che per un anno ha sognato questo momento. Sotto il cappuccio gli occhi si chiudono, la mente si abbandona al ricordo, al dolore, all’emozione e i piedi danno il via ad una danza di fede.

I tanti piccoli suoni si uniscono e formano una melodia straziante eseguita dal clarinetto e ritmata da colpi continui che accompagnano la leggera spinta di una spalla verso l’altra. La musica sembra vibrare sempre più forte e così anche le emozioni oscillano tra caos e tranquillità. Il buio davanti agli occhi proietta in realtà tante immagini di un passato recente, lontano e tutto ciò che ci circonda appare raccontarci cosa sta per accadere. 

L’insieme di quei suoni disperati è la narrazione di un evento a cui non saremo spettatori, non più… Resteremo a vegliare nel momento della prova? Saremo meno paurosi degli apostoli?... Ed allora precipitiamo nello sconforto, nel ricordo di tutte le volte in cui presi dalle nostre preoccupazioni Lui scompare completamente dalla nostra vita.
Ph.Emanuele Damone

E poi… come se qualcuno ci toccasse, come se qualcuno ci risvegliasse da un incubo, la melodia si fa più leggera, veloce, dolcemente gioiosa. I piatti segnano l’accelerazione del ritmo non solo musicale ma anche del passo e il cuore si rianima, alimentato da una nuova speranza.

La musica si interrompe e riprende subito dopo, simbolo che la vita non finisce col dolore ma che esso è necessario per avere la gioia eterna, senza limiti. Allora il passo si fa sicuro e procede in quel primo momento di ritualità, in quella prima fase di preghiera. Taranto si adorna di cappelli neri con fasce blu, di mozzette panna e di camici bianchi… 

Pellegrini dell’amore di Dio, pellegrini del suo Perdono si riversano nelle vie e conducono un cammino simbolico ma profondo che li porterà dinnanzi a Lui, dove potranno abbandonarsi in un colloquio privato fatto di sogni, speranze, preoccupazioni e semplicissimo silenzio per ascoltare attraverso il calore dell’Eucarestia cosa oggi e non 2000 anni fa Cristo ha da dirci.