giovedì 23 marzo 2017

Luciachiara Palumbo

Taranto è immersa nel buio e nel silenzio di una notte fresca che richiede di indossare giubbotti pesanti, sciarpe e cappelli… La gente ha abbandonato le strade del borgo e i lumi delle statue su Via Anfiteatro creano un bellissimo contrasto con il nero del cielo. Attorno ai simulacri pochissime persone resistenti al sonno e al freddo si muovono immortalando questo momento speciale, sconosciuto a molti.

E’ una fase della processione che in pochi riescono a vivere, è un volto nascosto dei nostri riti che lascia un segno in chi osserva, prega e contempla. Dopo il vocio che ha accompagnato il corteo su Via di Palma, calano il silenzio e la pace. I confratelli, nonostante abbiano già negli occhi Piazza Carmine che di lì a poco raggiungeranno, si lasciano travolgere dalle emozioni e nazzicano come non mai, cullati dalla stanchezza e dalla bellezza di essere soli con Lui…

Ed ecco nella quiete emergono le note squillanti di Venerdì Santo di Centofanti, accompagnate per ben sette volte dai piatti. Un richiamo forte che tende subito ad addolcirsi sul finire della prima strofa e lasciare quindi l’opportunità di abbracciare quelle sdanghe come se fossero il corpo martoriato e senza vita di Gesù. 

I clarinetti e le trombe si contrappongono e si completano allo stesso tempo in una melodia straziante e dolcissima in cui leggermente, sullo sfondo si avvertono piccolissimi colpi di percussione. La ninna nanna che viene cantata dagli strumenti ad un uomo ferito e ucciso dalla nostra indifferenza, accompagna l’oscillazione e le lacrime degli incappucciati, il cui cuore viene rapito dal ricordo dei momenti di sofferenza, di errore in cui si era pensato ad ora, al colloquio personale con Dio e al perdono che si sarebbe richiesto.
 

Mancano poche ore alla fine di tutto: quel Cristo raccontato e accompagnato sarà riposto nel suo sepolcro e noi come i discepoli avvertiremo l’abbandono e chiusi nelle case spereremo e attenderemo un suo ritorno tra noi. 

Gli occhi bruceranno nel guardare quelle vie, illuminate dalla tradizione, spegnersi sotto i passi dei frettolosi che le percorrono solo per fare la spesa o per ritornare a casa. Ci sembrerà impossibile che lì, proprio lì dove è passato il nostro Signore la gente cammini dimenticando di già tutto ciò che è successo. Allora ci chiuderemo in noi stessi sapendo che nessuno può comprendere il nostro dolore e che ogni frase del tipo “l’anno prossimo di nuovo ti vesti” non solo è superficiale ma anche profondamente irritante.

E poi piano piano mentre le note rallentano e diventano via via più soffici, il colore del cielo si schiarisce e in un ritmo costante cambia l’andamento della processione. La melodia pare qui essere una bellissima opera lirica che accompagna ognuno di noi verso la speranza di una vita senza fine, di un abbraccio reale, concreto, vero con l’uomo che amiamo più di tutti, col Dio che ci ha creati nell’ infinita Bontà e dolcezza.

Il rossore dei nostri occhi semiaddormentati emerge alla luce del primo sole del mattino e crea un ostacolo alla nostra buona vista. Ma ora come ora osservare la strada è irrilevante… la si conosce a memoria perché percorsa negli anni fisicamente e mentalmente. I piedi avanzano anche se non vorrebbero, il corpo si irrigidisce sotto il peso di una statua e vorremmo improvvisamente pietrificarci, fermare il tempo con un telecomando per ripetere all’infinito quegli istanti.

 Non si può… le ore passano ed il momento indesiderato ma necessario sta per farsi largo alla nostra vista. Non possiamo che farci forza, certi che fino all’anno prossimo sarà il ricordo di queste emozioni a farci vivere giorno dopo giorno l’eterna Pasqua del Signore…