giovedì 16 marzo 2017

Emanuele Damone
Quante volte abbiamo sentito o detto questa frase, magari cercando di far capire a chi non comprende ed intanto critica cosa noi possiamo provare al suono di una marcia funebre ma anche cosa sentiamo e cosa ci scatta quando Gesù bambino, nazzicando, ritorna in chiesa concludendo la processione del 6 gennaio.

Ed intanto per alcuni tutto ciò resta solo folklore. Ma se fosse solo folklore, otto uomini porterebbero per quattordici ore una statua di trecento chili sulle proprie spalle? Rinuncerebbero a serate in pizzeria, piccoli weekend con la propria famiglia e tutto quello che può essere ritenuto non essenziale solo per poter calare un cappuccio sul volto, sopportando il freddo della notte, il dolore pungente dell'asfalto un po’ rovinato che si sbriciola e si attacca alla pianta del piede?

Forse ragionandoci un po’ su criticarci è davvero quanto di più stupido si possa fare. Ciò che accade la domenica delle palme, le tanto chiacchierate gare, non riguardano nessun altro se non chi in quel momento, in quell'istante, a gran voce rilancia con un più cento, con buona pace della vacanza estiva che pian piano sfuma via, per il solo scopo di esserci, perché a noi interessa quello, essere partecipanti attivi di quei riti.

Chi il lunedì santo mattina va a comprare il giornale, molti per l’unica volta l’anno, solo per poter leggere le cifre delle aggiudicazioni, dietro a quei freddi numeri potrà mai sentire la felicità di chi quella sdanga se l’è aggiudicata? Potrà vedere le lacrime di chi invece non è riuscito a realizzare il suo sogno, accarezzato per più di un anno? Si un anno, perché quando il portone si chiude l’unico pensiero che ci può alleviare il dolore che sia tutto finito è pensare alla Settimana Santa dell’anno dopo.

Se solo sapessero questo non si sorprenderebbero a sentirsi dire che le marce noi le ascoltiamo anche il 15 di agosto, che il rumore della troccola durante la preghiera a Gesù Morto ci fa venire la pelle d’oca, che in ogni singolo periodo dell’anno, anche solo per un’immagine o una sensazione che apparentemente non ha legami, ci porta a ricordare o a pensare alla Settimana Santa.

E poi diciamoci la verità, Taranto vive solo in quei tre giorni. Persone che non vedevi da un anno, esattamente dalla Pasqua passata, ritornano in città. Le famiglie con i bambini si avvicinano ai perdoni mentre si recano ai sepolcri, si notano anche piccoli gruppi di turisti. Il popolo tarantino si riversa in strada, anche se fino a qualche giorno prima ha criticato le aggiudicazioni, anche se dopo aver visto le statue tornerà a casa ancora criticando, attribuendo le lacrime che scendono mentre tutto finisce ancora alla smania di protagonismo.

I riti che tanto amiamo sono l’unico ricordo di una Taranto che non c’è più e noi siamo orgogliosi di poterlo rappresentare.