venerdì 11 aprile 2014


Claudio Capraro: "Otto giorni" 

SABATO

Paolo si era posto dietro le transenne all’angolo di via Anfiteatro con via Regina Elena, di li avrebbe avuto un’ottima visuale per vedere l’ingresso della processione. Aveva lasciato Giulia a casa ed era tornato a prendere posto. Nei minuti che avevano preceduto l’arrivo della processione aveva incontrato un vecchio compagno di scuola con il quale si era intrattenuto a scambiare due chiacchiere. Era tornata a Taranto per la Settimana Santa e sarebbe ripartito per Bologna il giorno successivo alla Pasquetta; si scambiarono i propri racconti e le proprie esperienze. Armando si era dato alla carriera di attore e girava spot pubblicitari e fiction, ma soprattutto aveva avuto un ruolo da protagonista in un kolossal americano sulla passione di nostro Signore. I due si salutarono calorosamente promettendosi di “beccarsi” almeno via mail. Con il passare dei minuti quello che era un posto comodo non lo fu più e bisognava lottare per mantenere la posizione conquistata. 

Il troccolante finalmente varcò la soglia della chiesa di San Francesco di Paola, la banda terminò l’esecuzione di “Christus” e immediatamente i musicanti si dispersero diretti al bar più vicino. Appena il troccolante mise piede sui gradini della chiesa, fu aiutato a togliere il cappello che gli fu fatto cadere sulle spalle, gli fu alzato il cappuccio e lentamente con le forze residue percorse tutta la navata muovendo il suo strumento. Trac trac trac. A breve distanza lo seguiva il Gonfalone, dopo qualche minuto anche la Croce dei Misteri entrò in chiesa. Gli addetti della Confraternita sollecitavano i confratelli ad accelerare, si era leggermente in ritardo e nessuno aveva voglia di dover ridurre la durata della breve sosta. Le altre due bande, alternandosi continuavano a suonare e poco a poco i vari simboli facevano il loro ingresso in chiesa. 

I banchi erano stati spostati lateralmente in modo da lasciar spazio per posare le statue per terra. Il troccolante a volto scoperto arrivò all’altare; si genuflesse, baciò la troccola e la posò sullo stesso altare. Poi fu preso sottobraccio dal segretario della confraternita ed accompagnato attraverso una porticina nei locali della parrocchia. Percorsero un breve corridoio ed arrivarono ad un altro, perpendicolare, più lungo. Dove un tempo sorgeva l’Arena Charitas, cinema all’aperto in un’epoca in cui questi non erano esclusiva della litoranea, ma erano presenti in gran numero in città, erano stati issati dei gazebo di plastica e sotto di questi approntati dei lunghi tavoloni con relative panche. Su questi a cura della Confraternita erano stati posti i “cestini” per i partecipanti alla processione. Al di fuori della chiesa, intanto continuava la processione mentre dentro c’era già chi poteva godere del meritato riposo, di una bevanda calda, di un po’ di cibo.

Fabrizio ed Enzo passarono dall’asfalto al gelo del marmo della chiesa; gli fu alzato il cappuccio sugli occhi e lentamente avanzarono sino all’altare, poi anche loro presero la strada che gli avrebbe portati a sedersi e rifocillarsi. Si sfilarono i cappucci e gli infilarono nei bordoni, dalla parte superiore in maniera che non perdessero la loro forma.

Fabrizio si era seduto su una delle panche laterali all’altare. Aveva mangiato e bevuto con moderazione, non aveva voluto rimpiersi lo stomaco a dismisura. Accanto a lui, Enzo sembrava si fosse addormentato. Dopo pochi minuti che aveva preso posto e che anche lui stava per seguire il suo compagno in un sonnellino ristoratore, tutti i presenti furono ridestati dal suono della troccola. Bisognava ripartire, era passata l’una e trenta e tassativamente alle sette il troccolante avrebbe dovuto bussare al portone della chiesa del Carmine. Enzo sobbalzò, ci mise un po’ a capire dove si trovasse e perché, poi prese coscienza e fece per alzarsi, ma Fabrizio lo rimise a sedere, mancava ancora un po’ per la loro uscita. Intanto le squadre si andavano ricomponendo lungo la navata tant’è che dopo poco furono chiamati a riprendere il loro posto. Era uscito Cristo all’orto e la banda posta alle spalle del troccolante aveva ripreso a suonare. 

Quelle due ore scarse avevano avuto l’effetto di far dimenticare ai confratelli la temperatura esterna e rimettere piede per strada fu un trauma vero e proprio. Usciti dalla chiesa ci sarebbero state ancora una decina di metri di transenne, dopodichè non ci sarebbe stato alcun ostacolo a tener lontana la gente che considerata la temperatura particolarmente bassa si pensava dovesse essere scarsa; invece Fabrizio fu stupito di vedere, nonostante tutto, tanta gente. Ne fu contento: non ci sarebbe stato freddo a trattenere i tarantini quelle notti. Iniziò a girare la testa a destra e a sinistra in cerca di Daniela. Nonostante il buio ed i piccoli forellini del cappuccio, riusciva a scorgere abbastanza chiaramente le facce della gente sui marciapiedi. Le transenne erano terminate e le forze dell’ordine dovevano fare avanti e dietro per convincere la gente a restare sui marciapiedi, ma non c’era verso. Volersi avvicinare il più possibile ai simboli della Passione era un atto di amore, di condivisione; un tarantino non sarebbe mai rimasto buono sul marciapiedi, avrebbe potuto farlo uno scandinavo, ma un tarantino avrebbe provato ad avvicinarsi, a toccare le statue, addirittura se fosse stato possibile a prendere il posto di uno degli sdanghieri . Mentre era intento in questi pensieri, Fabrizio scorse la sua amata Daniela. Lei guardava fisso nella sua direzione in attesa che lui la vedesse. Anche con il cappuccio calato sugli occhi, quando i loro sguardi si incrociarono entrambi sapevano che l’uno aveva visto l’altra e viceversa.

Paolo continuava ad incontrare amici, parenti e conoscenti, si fermava a scambiare un saluto e qualche frase di circostanza, ma in realtà quella notte non voleva compagnia. Voleva stare da solo, ascoltare le marce funebri e fermarsi in preghiera davanti ai simboli della processione. Simboli e statue che avrebbe avuto modo di vedere ancora per poche ore e poi avrebbe dovuto attendere un anno intero. Soprattutto sperava che l’anno successivo sarebbe stato differente; sperava in un colpo di fortuna, in un guadagno inaspettato, si riprometteva risparmi quotidiani per poter riempire u’ frone, il salvadanaio, e ritrovarsi con un gruzzolo che gli avrebbe permesso di partecipare alla processione dei Misteri.

All’improvviso si rese conto che in quei due giorni non aveva mangiato più di tanto. A ricordarglielo fu il profumo che proveniva da un forno: panzerotti, focacce e pucce. Si ripromise di resistere ancora qualche ora, in fondo poteva anche fare qualche piccolo sacrificio; chi stava partecipando alla processione ne stava compiendo di più grandi.

Daniela si avvicinò a Fabrizio, un rapido saluto e le domande di rito: come và? Hai freddo? Hai mangiato. Fabrizio volle sapere da quanto tempo lei fosse in giro e fino a che ora aveva intenzione di fermarsi. Sarebbe rimasta fino al rientro e l’avrebbe aspettato all’uscita, se ne avesse avuto modo sarebbe entrata in chiesa ma quella era una possibilità più remota. Fabrizio vide da lontano il priore che, ripercorrendo avanti e dietro tutta la processione, veniva nella loro direzione e chiese a Daniela di allontanarsi, avrebbero avuto modo più tardi di parlarsi nuovamente.

Il vento rispetto alle ore precedenti forse si era leggermente calmato, ma la temperatura era scesa ancora. L’insegna di un ottico aveva oltre l’orologio anche il termometro che segnava +5. Fabrizio ed Enzo si chiesero quanto fosse attendibile quel dato visto che l’orario era decisamente sbagliato: secondo l’insegna luminosa sarebbero state le 18,20.

Erano arrivati all’incrocio con via Nitti quando, probabilmente a causa dei liquidi ingeriti, Fabrizio sentì la necessità di assentarsi un momento. Passò qualche minuto poi gli passò accanto la quinta mazza, quella con il cartiglio “INRI”, la chiamò e si fece sostituire. Il tempo di entrare in un bar li vicino, dove nonostante la fila gli fu concessa la precedenza. Uscito si sgranchì le gambe e tornò a riprendere il suo posto. Enzo avrebbe voluto fare altrettanto ma attese ancora un po’ e poi approfittò del passaggio di un altro mazziere per lasciare anche lui il corteo.

La stanchezza, con il passare delle ore aumentava sempre più e come al solito l’unica medicina per ritrovare le forze era la preghiera. Fabrizio aveva davanti ai suoi occhi la statua che gli precedeva e nel vedere le sofferenze di Cristo che cadeva sotto il peso della Croce, si ridestava e ritrovava l’energia che ancora aveva dentro.

La processione procedeva lungo via Anfiteatro, verso ovest. Il sole sarebbe spuntato di li a poco alle loro spalle, prima timidamente, poi si sarebbe alzato oltre i palazzi del borgo e avrebbe invaso le strade dopo la notte buia.

Paolo era rimasto solo e non era affatto dispiaciuto di ciò. Percorreva, lentamente, avanti e indietro tutta la processione; ora da un lato ed ora dall’altro. Si soffermava nei pressi di una delle tre bande per ascoltare una marcia funebre e poi proseguiva per rifermarsi vicino al troccolante per recepire meglio il suono del crepitacolo, oppure sostava nei pressi di una statua; scrutava le espressioni dei portatori, si immaginava al loro posto.

Il clima sembrava migliorare, perlomeno il vento si era calmato, addirittura sembrava che l’aria fosse ferma. Il brusio della gente di qualche ora prima era diminuito sensibilmente in proporzione al numero di persone presenti in quel momento. Tra un po’ sarebbero arrivati quelli che venivano per vedere il rientro, ma quello era il momento migliore della notte: poca gente, finalmente il silenzio.

I confratelli erano stanchi, le poste sempre più spesso incrociavano i bordoni e facevano qualche esercizio per stirare i muscoli. Ai balconi dei palazzi qualcuno era affacciato, altri si intravedevano al di la dei vetri. Erano le tre e mezza ed il troccolante era arrivato all’altezza di via Pupino.

Paolo camminava e pensava, pensava e pregava. Anche lui sentiva un po’ di stanchezza, ogni tanto gli passava per la mente il desiderio di tornarsene a casa ed infilarsi sotto le coperte, ma erano pensieri fugaci, che duravano un momento. Se l’avesse fatto, dopo qualche ora si sarebbe pentito di non essere rimasto fino alla fine. Certo un caffé caldo in quel momento sarebbe stato di grande aiuto e quindi si allontanò momentaneamente dalla processione ed entrò in un bar affollatissimo a bere un espresso. 

Ad un certo punto Enzo e Fabrizio sembrarono ridestarsi: all’improvviso si accorsero che il sole era spuntato e che il cielo da nero era diventato azzurro. Sembrava che questo fosse avvenuto nel giro di pochi istanti, in realtà non era così. Chi seguiva la processione potendo muoversi liberamente e senza un cappuccio sul volto aveva, già da una mezz’oretta, visto il cielo diventare via via sempre più chiaro; era il sole che alle spalle della chiesa di San Francesco stava sempre più velocemente sorgendo. Chi invece come loro due, procedendo in senso opposto, con il volto coperto e anche a causa della stanchezza non aveva avuto modo di verificare questo avanzamento, si trovò all’improvviso a passare dalla notte al giorno.

Nell’ultima ora i due erano stati in completo silenzio, appoggiati uno alla spalla dell’altro, sostenendosi a vicenda e nazzicandosi. Dopo tante ore il movimento ormai era sincronizzato alla perfezione, se in quei momenti non fosse stato così l’uno non sarebbe riuscito a reggere l’altro. Fabrizio aveva l’impressione che per qualche attimo avesse chiuso gli occhi e si fosse addormentato. Alzò gli occhi al cielo e lo vide terso, il sole ancora non era spuntato completamente. Cercò tra la gente, che stava riempiendo nuovamente via Anfiteatro, Daniela e dopo qualche minuto la vide. Muovendo leggermente la testa le chiese di avvicinarsi: voleva sapere qualche notizia: che ora fosse, dove fossero quelli che li precedevano e come fossero sistemate le statue che venivano alle loro spalle. Questa era un po’ una fissazione dei confratelli in processione, voler tenere sotto controllo l’andamento, capire se si fossero create delle spaccature, avere il polso della situazione. Daniela rispose a tutte le domande del suo fidanzato e poi passò lei a farne delle altre. Si, Fabrizio rispose che era stanco, ma non eccessivamente e che, si aveva fame e quel profumo di caffé e brioches che arrivava da un bar nei pressi era una vera tortura.

Mancava un quarto d’ora alle sei, Fabrizio ed Enzo ormai completamente svegli e rinvigoriti erano qualche metro prima dell’angolo con via De Cesare. Vedevano Cristo all’orto che stava per svoltare su Via Massari e quindi il Troccolante doveva essere già arrivato a quell’incrocio. La banda della “Sindone” intonava “Mestizia” e tutti quanti, sapendo che quelle sarebbero state le ultime occasioni per nazzicarsi, avevano i piedi incollati all’asfalto. Impercettibilmente ora Enzo spingeva su Fabrizio verso sinistra e una volta arrivato al punto prefissato il movimento veniva invertito ed era Fabrizio a spingere sul suo compagno in direzione opposta, il tutto in maniera lentissima, cadenzato dalle note della banda.

Paolo era combattuto se continuare a seguire la processione o dirigersi in piazza Giovanni XXIII per cercare di trovare un posto dal quale avere una visuale discreta per assistere al rientro. Da un lato il fatto che via Anfiteatro si fosse riempita nuovamente di gente e che fosse aumentato il brusio lo disturbava, ma non voleva rinunciare a stare accanto ai confratelli ed ai simboli della Processione. Stare pigiato in piazza Giovanni XXIII ad aspettare l’arrivo sarebbe stata comunque una tortura. A lui non interessavano i tre colpi che il troccolante avrebbe battuto sul portone della chiesa, a lui interessava tutta la processione e lo disturbava il fatto che grandissima parte della folla assiepata già da ore in piazza, una volta che il troccolante fosse entrato sarebbe sciamata via, come se tutto il resto non fosse importante; e ancora di più lo disturbava l’applauso che sarebbe partito nel momento in cui il troccolante avrebbe bussato. A nulla servivano gli inviti che da anni venivano rivolti per far comprendere che non c’era assolutamente nulla da applaudire, ma anzi sembrava che più inviti arrivassero in tal senso e contrario fosse il comportamento della gente. Qualcuno aveva cercato di trovare anche una chiave di lettura positiva a questi applausi, ma Paolo di positivo non riusciva a vederci proprio nulla.

Intanto le piccole sfilacciature avvenute nelle ore centrali della notte, si erano ricomposte: tutta la processione procedeva ordinata con le giuste distanza tra ognuno dei simboli e delle poste dei confratelli. Sembrava che il suono delle note si facesse sempre più straziante man mano che ci si avvicinava al traguardo; sui volti dei confratelli la stanchezza era stata sostituita da una enorme tristezza.

Paolo decise di provarci anche se il suo senso della disciplina non glielo avrebbe permesso. Non aveva titolo per essere al di qua delle transenne, ma – si chiese - quanti erano quelli che pur senza titolo ci stavano lo stesso, e quindi provò ad infilarsi tra i due poliziotti che sostavano all’incrocio di via Massari. E ci riuscì. La troccola stava per fare il suo ingresso e quindi, con la coscienza “sporca” di chi trovava in un posto senza averne diritto, si allontanò dall’incrocio e andò a prendere posto in piazza nei pressi del portale della chiesa. Si sistemò per terra accanto alle transenne in modo da non impedire a nessuno la visuale. Era di lato e di li avrebbe visto l’ingresso di tutta la processione. Sedersi, sia pure sul duro asfalto, fu piacevolissimo. Il rumore di sottofondo in piazza era elevato, ma non appena fu udito il suono della troccola tutti ammutolirono, almeno per pochi istanti. 

Erano le sei in punto ed il troccolante era entrato in via Massari. Paolo ricevette la telefonata di Giulia che era arrivata in centro. Paolo descrisse la sua posizione e lei condivise che difficilmente avrebbe potuto raggiungerlo, si sarebbe sistemata al di la delle transenne dove nel frattempo aveva incontrato una sua zia e un nutrito gruppo di cugine. Era contento che lei non fosse sola e non vedeva l’ora di rivederla, ma fino a quando la statua dell’Addolorata non fosse entrata e la banda non avesse terminato l’ultima marcia funebre non si sarebbe spostato di li.

Alle sette meno dieci il troccolante era in direzione del portale della chiesa del Carmine. Lo separavano dal rientro poco più di venti metri. La banda che per tutta la durata della processione era stata alle sue spalle, fu fatta disporre lateralmente dal maestro che già da quando erano entrati in via Massari aveva scambiato due parole con il troccolante per decidere quale marcia eseguire prima che lui bussasse. Per tutta la processione tra il troccolante e la banda alle sue spalle si crea un rapporto di collaborazione; spesso le marce che la banda esegue sono espressa richiesta del troccolante stesso. All’incrocio di via Massari si vedeva la Sacra Sindone che aveva già svoltato, mentre a causa dell’altezza non si scorgeva ancora la statua di Cristo Morto. Il maestro diede il via alla marcia e gli squilli di tromba di “A Gravame” si diffusero nella piazza facendo venire la pelle d’oca a molti dei presenti. Fabrizio ed il suo compagno erano arrivati quasi alla fine di via Massari, ancora qualche metro e la strada si sarebbe allargata diventando piazza. Nessuno parlava più. I loro volti erano nascosti, ma loro riuscivano a scorgere, attraverso i fori, i volti degli sdanghieri e delle forcelle e la tristezza che traspariva dalla espressioni di questi era enorme ed indescrivibile. I responsabili della confraternita erano in un momento di difficoltà: dovevano combattere con gli orari da rispettare, dovevano fare in modo che i confratelli non si attardassero, ma procedessero celermente verso il rientro e nel fare questo dovevano combattere con i loro stessi sentimenti che gli avrebbero suggerito di fare esattamente il contrario, di prolungare il più possibile quegli ultimi attimi, perché un anno è lungo e aspettare tanto per rivivere quei momenti non sarebbe stato facile. Come saggiamente qualcuno faceva ogni anno, riferendosi ai riti della settimana Santa, nel momento esatto in cui si chiudeva definitivamente il portone della chiesa del Carmine esclamava:

“E pure quest’anno li abbiamo visti. L’anno prossimo? Chissà?”

Il volto di qualche confratello iniziò a rigarsi di lacrime e Paolo avrebbe fatto volentieri un salto per gridare ciò che pensava al tipo che alle sue spalle attribuiva al fanatismo quelle lacrime, ma restò fermo al suo posto e cercò di non ascoltare concentrandosi invece sulla marcia eseguita magistralmente. Anche i bandisti, arrivati alla fine avevano recuperato quelle forze che solo qualche ora prima credevano di aver esaurito definitivamente. Il finale di “A Gravame” era in crescendo: i fiati e poi le percussioni, il rullante. Quando la banda ebbe finito, il Priore si avvicinò al troccolante per bisbigliare qualcosa al suo orecchio. Era sicuramente l’invito a procedere: erano le sette in punto. Il troccolante tirò fuori il crepitacolo che durante la marcia aveva posto sotto la mozzetta ed iniziò ad agitarlo, ma lui non si mosse. Stava chiamando tutti a raccolta; anche l’Addolorata era arrivata su via Massari. 

Trac, trac, trac. Il sole era ormai uscito e il freddo della notte era solo un ricordo. 

Trac, trac, trac. In tutta la piazza si udiva solo questo suono. Le altre due bande avevano cessato di suonare, di li a poco avrebbero ricominciato, ma in quel momento erano tutti in silenzio assoluto. 

Trac, trac, trac. Lentissimamente compì un passo, poi un altro e poi ancora un altro. Trac, trac, trac. 

I fotografi e gli operatori delle tv iniziarono ad accalcarsi per cercare la migliore inquadratura ed il pubblico iniziò a rumoreggiare chiedendo di avere la visuale libera. Le forze dell’ordine cercavano, senza riuscirci, di mediare alle richieste degli uni e degli altri.

Trac, trac, trac. Dieci metri. I sette mazzieri, avevano ormai abbandonato il loro compito e si erano sistemati in vari punti della piazza anche loro per vedere quegli attimi. 

Trac, trac, trac. Sei metri. Il confratello che si era aggiudicato la Croce dei Misteri piangeva a dirotto, sembrava un bimbo in preda ad un pianto irrefrenabile, quando neanche la mamma riesce a capire cosa voglia il suo piccino e non riesce a farlo smettere. 

Trac, trac, trac. Cinque metri.

Il padre spirituale e il Priore erano sistemati davanti al portale; uno da un lato ed uno dall’altro. Ai loro lati si erano posti due carabinieri e due vigili urbani in alta uniforme. 

Trac, trac, trac. Quattro metri. Piano, reggendosi sul bordone, stanco ma pronto a ricominciare nuovamente se ne avesse avuto modo, agitava il polso con un vigore che poco prima credeva di aver perso del tutto. Pubblico e fotografi continuavano a litigare e a disturbare la solennità del momento. 

Trac, trac, trac. Tre metri.

Il Gonfalone si teneva a debita distanza dal troccolante, la scena era una sua esclusiva. Il confratello a Decor della prima posta davanti a Cristo all’orto, aveva il cappuccio bagnato dalle lacrime. Le forcelle e gli sdanghieri della prima delle otto statue piangevano anche loro, qualcuno tirava su col naso. 

Trac, trac, trac. Due metri. Il troccolante mise il bordone sul marciapiedi e facendo forza su questo ci salì anche lui mettendo prima il piede destro e poi il sinistro. 

Trac, trac, trac. Un metro. 

Trac, trac, trac. 

Tum. Tum. Tum. 

Tre colpi. Tre volte il bordone che colpiva il portone della chiesa dedicata alla Vergine del Carmelo. 

Tum. Tum. Tum. Il portone si aprì, il troccolante, pellegrino, chiese ospitalità e fu accolto. 

Partirono gli applausi. Il troccolante entrò in chiesa continuando a suonare il suo strumento, la banda intonò “In morte di Vittorio Emanuele” e oltre la metà della gente che affollava la piazza si disperse. Lo spettacolo, per loro, era finito.

Paolo potè rimettersi in piedi, ormai non ostruiva la visuale di nessuno. Riuscì a scorgere sua moglie tra la folla e dopo qualche istante anche lei lo vide e si accorse anche a tanti metri di distanza che lui aveva gli occhi rossi e lucidi. Capì che non era il vento la causa di tutto ciò. Avrebbe voluto essergli fisicamente vicina, come tutte le donne che sono vicine ai loro uomini: mariti, figli, fratelli fidanzati durante quei riti. Si guardarono e si lessero reciprocamente nel pensiero e con un sorriso lo confermarono.

Il troccolante arrivato all’altare, baciò la troccola e la poggiò prendendo posto su di una sedia nei pressi. Li seduto avrebbe assistito al rientro di tutta la processione. Gonfalone, Croce dei Misteri e le poste che precedevano Cristo all’orto erano già entrate, ora toccava alla prima statua. All’interno della chiesa del Carmine c’era una luce strana, soffusa, crepuscolare. I suoni erano ovattati, sembrava che ci fosse un filtro invisibile che non permetteva ai rumori ed alla luce che c’erano li fuori nella piazza di entrare in chiesa. Chi portava i simboli, una volta che li riconsegnava al personale della confraternita, si abbracciava e si baciava, scambiandosi un ultimo “Prosit”.

Tutti quanti i partecipanti prendevano posto all’interno della chiesa per aspettare il rientro dell’ultima statua e la preghiera conclusiva con la benedizione finale del padre spirituale. Fabrizio ed Enzo erano ormai alla fine della processione. Si scambiavano giusto qualche monosillabo, non avevano voglia di parlare. Fabrizio pregava, rivolgeva al Signore le ultime preghiere. Era stanco, ma avrebbe ricominciato di nuovo, avrebbe avuto la forza per altre dieci, dodici, quindici ore di processione ed era certo che la stessa cosa valeva per tutti quanti gli altri.

Quando arrivò il loro turno di entrare, a malincuore compirono quei passi, misero piede sulla soglia della chiesa e furono aiutati a sollevare i cappucci sul volto. Lentamente percorsero la navata, ancora spalla a spalla quasi non volessero staccarsi più, poi gli si avvicinò l’economo che prese i due bordoni e solo in quel momento si staccarono quasi ridestandosi da una trance nella quale erano piombati. Si abbracciarono e andarono anche loro due a prendere posto. 

Fabrizio era soddisfatto. Tutti i suoi dubbi, le sue remore erano acqua passata. Era stanco ma si sentiva pieno, pulito. Ancora qualche minuto e sarebbe tornato a vestire gli abiti civili e la mozzetta e tutto il resto sarebbero tornati nell’armadio. Il pensiero andò a sua madre che sapeva essere li fuori da qualche parte e immediatamente dopo a Daniela e quando poi sarebbe uscito dal portoncino di via Giovinazzi le avrebbe trovate insieme, sottobraccio. Daniela sosteneva Maria. Le avrebbe abbracciate contemporaneamente.

La statua dell’Addolorata, che oramai aveva ritrovato il suo figliolo, era pronta per entrare. Erano passate le otto e mezza, le note di “Jone” riempivano l’aria e Paolo che era li fermo con le mani giunte, rivide in un minuto tutta la sua settimana. Rivide gli ultimi otto giorni: quando il sabato precedente più o meno alla stessa ora stava ascoltando da una cassetta le note della stessa marcia funebre, mentre lavava le tazze della colazione e con la mente fantasticava su quello che sarebbe stata l’asta del giorno successivo; la domenica della Palme, i vari impegni dei primi giorni della settimana Santa, il pellegrinaggio. Rivide un film; otto giorni, una settimana esatta. Le sue sensazioni cambiavano repentinamente: a ricordare alcuni avvenimenti sembrava fossero accaduti il giorno prima e a ricordarne altri sembrava fossero passati anni ed invece erano passati soltanto otto giorni. 

Fu colto da un brivido lungo la spina dorsale, poi sentì una mano sulla spalla. Si voltò di scatto, era Giulia. Si baciarono, poi lei gli sussurrò all’orecchio:

“Ieri sera sono andata in farmacia a comprare un test, e stamattina l’ho fatto. Auguri papà!”.