martedì 15 aprile 2014

Claudio Capraro


La nostra vita è fatta di tante incognite e di poche certezze. Ancora di più negli ultimi tempi; ancora di più per noi che viviamo in questa città afflitta da tanti mali, ma dalla quale non ci siamo voluti e continuiamo a non volerci staccare.

Tra le poche certezze, forse, una soltanto ha una storia così lunga: 250 anni che la processione dei Sacri Misteri è affidata alle amorevoli cure dell’Arciconfraternita del Carmine che per secoli ha portato in processione prima le due statue di Gesù morto e della Vergine Addolorata e poi man mano anche le altre sei, tra le vie dell’isola per poi dalla seconda metà del secolo scorso, trasferirsi nel borgo umbertino.

Le storie della processione dei Misteri e dell’Arciconfraternita del Carmine sono entrambe antecedenti al 1765, anno della donazione del Calò; quell’anno le due storie si sono incrociate, fuse, sono diventate un tutt’uno.

Sappiamo bene che la nobile famiglia Calò era proprietaria delle due statue e che le facesse portare in processione il venerdì Santo dalle diverse confraternite tra cui quella del Carmine; sappiamo anche che la Confraternita del Carmine praticava nei giorni della settimana Santa insieme con gli altri numerosi sodalizi il pellegrinaggio ai sepolcri e ci sono note le date e le modalità con cui Francescantonio Calò, innanzi al notaio Mannarini, stipulò l’atto di donazione delle statue all’allora Priore della Confraternita Omobono Locritani. Immaginiamo anche di conoscere le motivazioni che spinsero il nobile tarantino a compiere quell’atto dalla lettura del quale si evincono anche i motivi che avevano fatto sì che la scelta ricadesse sulla Confraternita del Carmine e non su di un'altra.

Insomma anche se ci sono ancora dei punti oscuri, sappiamo bene che da quel venerdì Santo del 1765 la processione dei Sacri Misteri è, appartiene, alla nostra Confraternita, ma è ed appartiene anche a questa città. Ancora oggi, nonostante la nostra città debba combattere contro tanti problemi che ogni anno sembrano aumentare invece di essere risolti; Taranto con affetto ed emozione si stringe attorno alla sua processione dei Misteri e più in generale attorno ai suoi riti ed alle sue tradizioni.

E noi, così come i nostri padri, i nostri nonni e via via indietro fino a quell’aprile di 250 anni fa, saremo per le vie di Taranto, saremo tra la gente. Quest’anno ancora di più, tra la gente, considerato che le transenne saranno ridotte per numero ad un minimo, fisiologico. Avremo l’onore di portare i simboli della Passione di nostro Signore e nello stesso tempo in chi osserva quei simboli, di portare la speranza, di riaccendere la fede sopita. Avremo a guardarci gente che soffre, uomini che forse a differenza di un tempo non si scopriranno il capo al passaggio di una statua o altri che dimenticheranno di silenziare il telefono, ma gente che si segnerà e rivolgerà la sua personalissima preghiera al simulacro che avrà di fronte in quel momento.

Saremo cioè, come disse l’ormai prossimo santo Papa Giovanni Paolo II, espressione di quella “religiosità popolare che può essere sempre più, per le nostre masse popolari, un vero incontro con Dio in Gesù Cristo” o per citare l’esortazione apostolica Evangeli Gaudium di Papa Francesco che definisce tali riti come “la manifestazione di una vita teologale animata dall’azione dello Spirito Santo che è stato riversato nei nostri cuori”.

Saremo con la nostra processione dei Misteri una certezza, una delle poche rimaste per noi confratelli e per la città tutta: la certezza che solo in Cristo Gesù morto e risorto per noi tutti, c’è la salvezza.