venerdì 25 aprile 2014

Antonino Russo 

Ore 18:30 del Giovedì Santo. Caliamo il cappuccio, sistemiamo il cappello. Spalla contro spalla uno accanto all’altro. Antonio Russo, Collaboratore al Pellegrinaggio, ci dà le ultime indicazioni e ci accompagna all’uscita insieme a Giovanni Schinaia, Primo Assistente e direttore del Pellegrinaggio: primo passo a piedi nudi su Piazza Carmine, direzione “Borgo Antico” come amo chiamarlo.

La temperatura non è clemente ma non piove. Il primo volto amico ad avvicinarsi in via D’Aquino è quello del nostro Priore: “Avete molto freddo?” il tono della voce è premuroso, da fratello maggiore. Lo sguardo che incroci mentre ti sistema il cappuccio consente di capire che sono tante le poste del Pellegrinaggio e le Processioni vissute nelle condizioni meteo più svariate. 

33 il numero della posta. Come gli anni di nostro Signore quando sceglie la via della Croce. Un numero ricco di significato e di pienezza: tre come i miei figli, tre come i figli di Francesco Marangi che non ha esitato ad essere mio compagno di “Posta”.

Durante il pellegrinaggio si recita il Rosario. Sono tanti i momenti di silenzio: portiamo nel cuore tante intenzioni, i nostri affetti, le persone care che ora sono a contemplare il volto di Gesù.

I momenti di dialogo col mio compagno di posta : “Tutto bene Antonì?” “Sì, Frà”. Un altro passo ancora, un’altra “nazzicata” al suono delle bande o degli amplificatori che qualcuno ha avuto cura di preparare nelle proprie case o nelle propri botteghe. 

Scorgo l’orologio di Palazzo di Città: sono circa le 20:00 e il sole è già tramontato. Ora dai fori del cappuccio vedo ancora meno e le luci di Via Duomo consentono a stento di vedere le nostre ombre. Il bordone diventa sempre più un sostegno importante, il passo diventa man mano più incerto.

Passiamo tra la gente: c’è chi ci passa accanto distrattamente ma c’è chi scorge nella nostra presenza un segno. I bambini salutano timidamente e alcuni accennano ad un piccolo inchino con le mani giunte quasi a riconoscere la sacralità di un rito che tanti adulti confondono per teatralità anche a giudicare dagli autoscatto che qualche adulto si affannava a produrre affiancandosi a noi.

Davanti a noi, il Duomo. Siamo sul sagrato: togliamo il cappello e lo lasciamo cadere sulle spalle. Un gesto che ripeteremo arrivati a San Domenico e a San Giuseppe accompagnati lungo il tragitto dalla presenza discreta di Giovanni e Antonio. Ogni volta che raggiungiamo un Altare della Reposizione, dopo aver fatto la genuflessione e aver salutato la posta di confratelli che ci precede, scopriamo il volto: è un ritrovarsi, sempre nuovo, faccia a faccia con il Signore. Mi ha commosso il saluto alla Vergine Addolorata in una Chiesa di San Domenico piena di persone raccolte in preghiera in attesa della mezzanotte. 

Siamo sulla via del ritorno: sul Pendio la Riccia è il momento del saluto alla casa natale di Sant’ Egidio. Poco più avanti un parcheggiatore abusivo trova il tempo per rivolgerci alcuni sfottò: parole di conforto rispetto a quello che Gesù si è sentito dire lungo il Calvario.

Ora siamo diretti al Carmine: nonostante l’ora, sono tanti i fedeli che si attardano nel visitare la nostra Chiesa. Sul presbiterio, ai piedi di “Gesù alla Colonna” è il Priore ad attenderci a due a due, come gli Apostoli. Due, come i discepoli di Emmaus.

Per calare nuovamente il cappuccio sul nostro volto dovremo attendere poco meno di un anno ma non è tempo ancora di bilanci: il pensiero è già alla Processione dei Misteri.