mercoledì 23 aprile 2014

Claudio Capraro

Si era sempre chiesto perché quel nome. Probabilmente era il frutto della volontà di italianizzare un termine vernacolare. Anche nella via Crucis per tre volte si parla di cadute di Gesù sotto la Croce, mai di “cascate”, ma fatto sta che da oltre un secolo il nome di quella rappresentazione, appunto quella di Gesù che cade per tre volte sotto il peso della Croce sulla via del Calvario per i tarantini tutti ha il nome di Cascata.

L’opera del Manzo è, in maniera oggettivamente indiscutibile, di una bellezza da togliere il fiato. Il volto del Cristo che cade guardando il cielo, la fatica dipinta sul viso, le pieghe della tunica, la mano che tocca i sassi, il sangue che gocciola dalla fronte.

E’ una statua facilmente fruibile alla vista da parte di tutti i fedeli sia per la sua posizione orizzontale, così come Gesù morto che però è più bassa, sia per la sua altezza ed è quindi facile trovarsi a pochissima distanza dal volto del Cristo.

Era la statua, delle otto, che conosceva meglio in tutti i particolari proprio per queste sue caratteristiche e quella domenica sera assisteva alla via Crucis proprio sotto la nicchia chiusa dal vetro smerigliato con sopra disegnata la Croce china sul Calvario, in sottofondo ascoltava le note del Marinosci mentre il coro intonava “sotto i pesanti colpi della ribalda scorta, un nuovo inciampo porta a terra il mio Signor…” e pensava che si sentiva così, a terra con la sua croce addosso.

Mentre poco prima dell’inizio della funzione e subito dopo tutti avrebbero concordato gli ultimi dettagli per la formazione di squadre o poste, lui stava lì a pensare quale croce gli era capitata addosso: aveva perso il lavoro e essendo più vicino ai cinquanta che ai quaranta aveva paura di non essere più in grado di provvedere alla sua famiglia. Si sentiva spaventato, perso, solo. Sentiva forte il peso di quella croce, rappresentata da una lettera di licenziamento, che seppur non improvvisa causa la crisi che attanagliava la sua azienda, era stata comunque un duro colpo.

Si dava coraggio ripetendosi che doveva portare la sua croce senza lamentarsi e silenziosamente, ma da fragile essere umano, a volte non riusciva a restare fedele a questa promessa.

Il pellegrinaggio del giovedì Santo al quale avrebbe voluto partecipare, avrebbe avuto quest’anno un sapore differente. Più amaro, che sempre di penitenza si tratta, ma quando hai il cuore triste ti senti ancora più partecipe della sofferenza di Cristo Gesù.

E mentre era lì, davanti a quella nicchia dalla quale nonostante il vetro opaco si scorgeva il color vermiglio della tunica, fece una promessa a se stesso: su di un marciapiede, in abiti borghesi, quel venerdì santo sarebbe stato accanto a quella statua, alla Cascata, per tutta la durata della processione. Era il suo voto; non avrebbe potuto far parte di una squadra e gareggiare per sdanghe o forcelle (quanto gli sarebbe piaciuto!), i risparmi messi da parte sarebbero volati via velocemente in attesa di un nuovo impiego, ma sarebbe stato lì accanto ad uno dei “tre fratelli di nome Gesù”.



Dopo la morte c’è la Resurrezione, la base fondante del nostro Credo. Adesso si sentiva morto, ma sarebbe rinato a nuova vita e chissà un giorno avrebbe avuto modo di poter sentire sulla sua spalla il dolcissimo peso di quelle sdanghe, le più lunghe di tutte le altre, quelle che reggono la statua più pesante delle otto, e potersi nazzicare mentre la banda intonava le note di Christus.