martedì 8 aprile 2014


Claudio Capraro: "Otto giorni" 

VENERDI

Alle undici e trenta il portone fu aperto, il troccolante avanzò di qualche passo fino ad arrivare sull’uscio. La visuale gli era resa difficile dalle fotoelettriche delle tv. Non riusciva a vedere la gente perché la balaustra in muratura glielo impediva. L’unica cosa che riusciva a scorgere dai buchi del cappuccio erano le luci del porto di fronte a lui.

Trac trac trac trac. Il suo polso girava ritmicamente a destra e sinistra. Aveva la sua riserva di energia ancora al massimo ed il suono della troccola si udiva forte e chiaro a molti metri di distanza.

I fedeli giù per strada ammutolirono. Poi qualche genio fece partire il solito, deprecabile applauso e come sempre accade quando qualcuno compie qualcosa di sbagliato c’è subito una schiera che gli va dietro. Per fortuna durò pochi istanti.

Fabrizio dall’interno della chiesa, a pochi metri dal portone, vedeva snodarsi davanti a lui tutto il corteo che lentamente usciva per poter poi scendere lentamente i ripidi gradoni di San Domenico. La folla dei fedeli, la grandissima parte donne, si era posta dietro alla Vergine. Molti erano a piedi nudi e tutti avevano tra le mani un grosso cero che avevano provveduto ad accendere. C’era gente di tutte le età; dalle ragazzine alle loro nonne. Forse qualcuno avrebbe abbandonato prima del termine della processione, ma in grandissima parte, chiunque avesse seguito la processione, le avrebbe potute ritrovare lungo tutto il percorso sino al pomeriggio del giorno successivo. Erano mamme anche loro; mamme che come l’Addolorata chiedevano molto probabilmente qualcosa non per loro, ma per qualcun altro, quasi sicuramente per un loro figlio. Un figlio forse anche lui perso, come quella Mamma che quella notte aveva perso il suo di Figlio.

Man mano gli passarono davanti tutti i simboli della processione e si apprestava l’uscita del simulacro della Vergine Addolorata. Ricevette la telefonata di Daniela che era tornata a fatica nella città vecchia. Non poteva raggiungerla per il momento, le diede appuntamento in piazza Fontana.

Ecco arrivato il momento, la Vergine era pronta ad uscire ed iniziare il suo pellegrinaggio. Fabrizio era proprio sotto di Lei, i portatori dondolavano lentamente a destra e sinistra. La statua non si sarebbe mai fermata, nemmeno sulle forcelle, la Mamma non avrebbe smesso per un istante di muoversi alla ricerca del Figlio. Fabrizio allungò la mano a toccare la base in legno nero intarsiato d’argento e poi la portò alla bocca per baciarla. 

Avuto il via libera dagli addetti della confraternita, la statua uscì sul ballatoio: la gente per strada si ammutolì, la banda intonò le note di “A Gravame”, chi all’uscita della troccola aveva accennato un applauso pensò saggiamente di non riprovarci. La gente che era ancora dentro la chiesa fu invitata ad uscire ed il portone fu chiuso.

La statua restò sul ballatoio per quasi tutta l’esecuzione della marcia funebre, poi quando questa stava per terminare, i portatori iniziarono a girarsi lateralmente per prepararsi alla discesa. La statua non avrebbe compiuto quelle operazioni sulle spalle dei portatori, bensì a mano. Gli otto portatori, aiutati da personale della congrega, lentamente compirono le tre rampe di scaloni che gli avrebbero portati al livello stradale. L’operazione fu lenta e complessa. Il vento che soffiava da mar grande non dava stabilità alla statua e bisognava compensare ora da un lato ora dall’altro le oscillazioni. Il pubblico era ammutolito. L’unico suono che si riusciva a sentire, nonostante ci fosse tanta gente, era quello della troccola che invitava il corteo ad avanzare lasciando spazio alla statua. 

Fabrizio arrivò giù scendendo dalla rampa opposta a quella dalla quale veniva portata la Vergine. Poi si pose dietro la statua, assieme ai fedeli, e percorse qualche metro con la processione.

Dimenticò tutto; si immerse nella preghiera e dimenticò tutto. Fu risvegliato dalla vibrazione del suo cellulare. Era Daniela che gli chiedeva dove fosse.

“Ti raggiungo subito.”

Si riscosse; Daniela lo aspettava e comunque non voleva andare a letto molto tardi: a distanza di qualche ora lo aspettava un impegno duro.

Avanzò con molta difficoltà, percorrendo a ritroso lo svolgersi della processione. Dalla Vergine al trono e poi via via le tre croci, le pesare, la croce dei Misteri. Si fece largo tra la folla pigiata e le forze dell’ordine che cercavano di farlo allontanare dai confratelli in processione. Arrivò all’altezza del troccolante che era scortato dai carabinieri che cercavano di aprire un varco tra la folla, varco che subito dopo si chiudeva nuovamente come le onde del mare quando vengono divise dalla prua di un peschereccio e poi una volta passato questo si incontrano nuovamente.

Sostò qualche minuto nei pressi del troccolante che era fermo, con la troccola nascosta sotto la mozzetta nera. Si nazzicava lentissimamente sulle note di “Sulla tomba dei Cagnottisti”. Poi finita la marcia si ricordò che Daniela lo aspettava e accelerò il passo. Già prima di arrivare in piazza Fontana vide il fumo delle braci che saliva verso il cielo. L’odore di carne al fornello era inconfondibile e man mano che avanzava anche i bivacchi e le bottiglie vuote di birra aumentavano considerevolmente. Fabrizio riuscì a chiudere gli occhi per non vedere, ma non poteva turarsi il naso. Raggiunse Daniela nel posto concordato e si diressero a piedi lungo via Garibaldi oltre il ponte dove era parcheggiata l’auto.

Quando Paolo si svegliò quel venerdì mattina, avvertì tutti i dolori che la sera prima non era riuscito a sentire. Gli dolevano i polpacci ed i reni. La sua spina dorsale aveva dovuto sostenere il peso di tutto il suo corpo e non si poteva dire che avesse un fisico snello, anzi. I piedi, a differenza di quanto credevano in molti, non gli facevano male.

Si alzò di scatto, la giornata si preannunciava piena, bisognava darsi una mossa. Concordò con Giulia gli impegni della mattinata: lei aveva bisogno di un po’ di tempo per sistemare la casa, decisero che sarebbero usciti a metà mattinata ed avrebbero raggiunto la processione all’orario in cui, molto probabilmente, sarebbe stata all’interno dell’Istituto Maria Immacolata.

Nonostante fosse andato a letto tardi e non disdegnasse rimanere sotto le coperte, quel mattino alle sette e mezza Fabrizio era già in piedi.

Incrociò sua sorella Loredana in corridoio che lo apostrofò:

“Già ti sei alzato? E che è successo? Mò aspetta che in bagno devo andare io.”

Fabrizio non rispose e continuò a camminare, strisciando i piedi per terra, sino in cucina dove sua madre appena aveva sentito che si era alzato aveva già messo sul fornello il bollitore con il latte e la moka da due tazze e contemporaneamente stava apparecchiando la tavola.

“Nà a mammà, siediti che mò è pronto. Non dar retta a quella scema di tua sorella.”

Lui rispose con un suono gutturale il cui significato fu comunque compreso da sua madre.

“Mà, io più tardi voglio andare a fare un salto in centro a vedere la processione, tu che devi fare?”
“Io volevo andare a San Domenico a vedere la Madonna quando rientrava, ma ti devo preparare da mangiare. Vengo con te stiamo un poco e poi ce ne torniamo.”
“Mà non ti preoccupare, che mi arrangio…”
“Che stai dicendo?! Che ti arrangi! Devo preparare io; anche per tuo padre e poi è già tutto pronto, non ti preoccupare.”
“Vabè.”

Mezz’ora dopo le dieci Paolo e Giulia entrarono dall’ingresso di corso Umberto dell’Istituto Maria Immacolata. La giornata era bellissima, il sole splendeva ed il cielo era terso e a tener lontane le nubi che pure si vedevano in lontananza ci pensava il leggero vento di libeccio. Appena entrati videro i confratelli dell’Addolorata sparpagliati nel cortile a godere di quel meritato e breve riposo. Era una immagine inconsueta per chi non avesse mai avuto modo di vederla, ma molto bella. Si potevano vedere i volti che fino a poco prima erano stati coperti dai cappucci; riconoscere l’amico, il collega, il vicino di casa. C’era chi mangiava, chi ne approfittava per accendersi la tanta sognata, dopo tante ore, sigaretta. Assieme a loro i familiari, figli e mogli che avevano preparato qualche prelibatezza per rifocillare i loro mariti o i loro figli stanchi e affamati. Tanti scattavano foto, tanti facevano la fila per poter soddisfare bisogni corporali trattenuti per ore. Più di qualche confratello teneva in braccio qualche piccolo che a seconda dell’età poteva essere il figlio o il nipote.

Molti di loro erano nel cortile a godere dei raggi del sole, ma altrettanti erano all’interno dell’Istituto dove Paolo potè vedere la stanza riservata alle forze dell’ordine che scortavano il simulacro e un’altra stanza riservata esclusivamente per i portatori della Vergine.

I due continuarono a camminare nel corridoio, fermandosi ogni tanto a salutare qualche conoscente, ma la loro meta era a pochi passi, al termine di quel lungo corridoio. Man mano che procedevano a fatica tra tanta gente, la voce guida della suora che recitava il Rosario, gli attirava verso l’Addolorata che ancora i loro occhi non riuscivano a vedere. Dovevano arrivare all’incrocio con il corridoio perpendicolare e finalmente al centro di questo, circondata da un numero enorme di fedeli, c’era Lei, la Mamma, la Vergine Addolorata con in mano il suo cuore trafitto ed il fazzoletto per poter asciugare non le sue lacrime, ma quelle del suo Figlio. 

Quanta gente! Chi recitava il Rosario, chi poneva ai piedi della statua un ulteriore mazzo di fiori, chi muto indirizzava alla Vergine le sue preghiere. C’era tutta Taranto rappresentata lì in quel momento.

Guardandosi intorno Paolo incrociò lo sguardo di Fabrizio; si salutarono. Fabrizio teneva sottobraccio una donna che nonostante non dovesse essere tanto avanti con gli anni, mostrava sul volto tutta la stanchezza di una vita molto probabilmente non facile. I due passarono, sottovoce, alle presentazioni. Paolo presentò sua moglie Giulia e Fabrizio sua mamma Maria. Poi si salutarono e Paolo e Giulia provarono ad avvicinarsi ancora un po’ alla statua dell’Addolorata.

Ad un certo punto il movimento nei pressi del luogo dove era la Vergine aumentò. Tutti capirono quello che stava per succedere: gli addetti della Confraternita dell’Addolorata avevano chiamato all’appello i partecipanti, la processione doveva riprendere il cammino e fare ritorno a casa. 

La suora che guidava il Rosario, alzò la sua voce di un tono sia per coprire il brusio e sia perché sapeva che quelli erano gli ultimi istanti. Anche i fedeli aumentarono la loro voce. Quando sotto la statua arrivarono i quattro sdanghieri e le quattro forcelle, sembrava quasi che le suore, padrone di casa, non volessero far andar via la Madonna; volevano tenere la Vergine ancora con loro per poterLe indirizzare le loro lodi. La statua fu issata sulle spalle degli otto portatori. Nel frattempo gran parte della processione era già uscita ed il troccolante era arrivato in piazza Immacolata. Mentre la Vergine lasciava l’Istituto le sorelle vincenziane Le inviavano messaggi di saluto e preghiere. Arrivati al portone di via Mignogna la statua fu abbassata e potè uscire nuovamente per strada e riprendere il cammino a ritroso.

Fabrizio e sua mamma si posero tra i fedeli che seguivano la statua. Quelli di loro che seguivano la processione dalla notte precedente, tanti a piedi scalzi, avevano potuto anche loro trovare un po’ di conforto da quella sosta, avevano sostituito i grossi ceri ormai consumati con altri nuovi. I due sempre sottobraccio, silenziosi. Maria, una volta usciti dall’Istituto, aveva indossato un foulard nero dal quale fuoriusciva una ciocca di capelli grigi. In mano teneva una corona del Rosario e camminava a testa bassa, l’alzava soltanto per guardare la statua che procedeva alcuni metri davanti a lei. Fabrizio sosteneva sua madre, ma non era una operazione particolarmente difficoltosa. Qualche anno prima lo sarebbe stato, era un donnone, ma oggi il male che aveva le portava via ogni giorno una piccola parte del suo fisico e della sua immensa energia. Camminavano e pregavano i due, madre e figlio e senza saperlo pregavano l’uno per l’altra. Fabrizio chiedeva che la madre potesse guarire e Maria chiedeva che i suoi figli potessero sistemarsi quanto prima perché sapeva che lei non ci sarebbe stata ancora per molto.

Arrivati in piazza della Vittoria, Maria disse a Fabrizio che era ora di tornare a casa. Lui avrebbe voluto continuare, ma lei non glielo permise. Doveva mangiare e riposarsi un pò, lei gli avrebbe preparato la valigia con l’abito e tutto il resto e poi per le quattro sarebbe dovuto uscire di casa. A malincuore i due lasciarono il corteo e fecero ritorno a casa.

Paolo e sua moglie seguirono il rientro della processione per tutto il suo percorso. Poco prima che la statua dell’Addolorata ripercorresse il ponte girevole, essendosi fatta l’ora di pranzo, Paolo non nascose di manifestare il suo languore a Giulia e colse al volo l’occasione che un rinomato panificio davanti al quale stavano passando proprio in quel momento gli presentava. 

Passarono il ponte sempre seguendo il corteo e imboccarono via Duomo. Solo poche ore prima, Paolo a piedi nudi aveva percorso quella via, ma gli pareva fossero passati chissà quanti giorni. Man mano che la processione procedeva, a passo sempre più veloce, verso San Domenico, il corteo andava sfilacciandosi. I componenti delle bande guardavano i loro orologi impazienti di arrivare al traguardo. Avrebbero avuto pochissimo tempo di riposo e poi sarebbe cominciata la seconda parte della loro maratona. 

La processione arrivò davanti al Duomo di San Cataldo che si erano fatte le due e un quarto e senza aspettare che terminasse la marcia che una delle due bande stava eseguendo riprese a il percorso. Paolo e Giulia nel frattempo avevano superato tutto il corteo e si erano diretti a San Domenico credendo di trovare poca gente ed invece appena entrarono trovarono la chiesa piena zeppa di fedeli che attendevano che la Vergine facesse ritorno al suo posto.

Il brusio era elevato e ogni tanto un sacerdote invitava i presenti a pregare invece che chiacchierare; ad un certo punto però, da lontano, si sentì il suono inconfondibile della troccola. La processione stava arrivando, ma così come avevano accelerato il passo una volta superato il ponte girevole, nello stesso modo adesso i confratelli a partire dal troccolante sembrava non volessero saperne di avanzare. 

Paolo lasciò Giulia in chiesa ed uscì per vedere cosa succedeva. I maestri delle due bande erano intenti in una animata discussione con il priore e con altri responsabili della confraternita. Sicuramente il motivo del contendere era l’orario ormai avanzato e probabilmente la velata minaccia dei complessi di andar via se la processione non si fosse decisa ad entrare. In realtà si trattava di una minaccia non reale. La Madonna non poteva restare senza musica. Alla fine, ovviamente, il buon senso ebbe la meglio e sia pure controvoglia il troccolante, seguito da tutto il resto della processione, iniziò a salire gli scaloni che portavano al tempio di San Domenico.

Paolo tornò velocemente dentro facendosi largo tra la folla e vide l’ingresso della troccola e man mano di tutti gli altri simboli: pesare, Croce dei Misteri, crociferi. Da fuori arrivavano le note delle bande ed il sole che riusciva a filtrare dal portale e dall’immenso rosone posto su di esso rischiarava la penombra che c’era all’interno del luogo sacro. Una volta entrato il trono, restava solo l’immagine della Vergine. Dopo qualche minuto la figura vestita di nero, fece la sua apparizione all’ingresso, coprendo i raggi del sole. Le note di “Mamma” si fecero più forti, la statua avanzò tra le due file di banchi stracolmi di fedeli. Tutti quanti si segnavano e quelli che erano più vicini cercavano di allungare la mano per toccare la base della statua o la veste della Vergine o anche solo le sdanghe di legno nero. Alcuni dei portatori piangevano, mentre tutti gli altri confratelli che avevano partecipato alla processione si erano sistemati sull’altare maggiore ad aspettare la loro Mamma. Tante lacrime scorrevano sia sulle facce di questi che su quelle della gente assiepata dentro la chiesa. Si sentì da un luogo imprecisato partire un grido soffocato:

“Mà, aiutami. Aiutami Tu!”

Era l’ultima grazia che veniva chiesta alla Vergine prima che tornasse, per un altro anno, nella sua nicchia.

I quattro sdanghieri e le quattro forcelle arrivarono al punto prestabilito e iniziarono le manovre per sistemare la statua sul baldacchino; la folla lentamente si avvicinava, aveva circondato la statua. Sembrava che non volessero lasciarla andare:

“Rimani con noi, Mamma.”

La calca che si era creata rendeva le operazioni che dovevano essere compiute più lente e difficili, ma nessuno della Confraternita dava segni di fastidio. Tutti erano lì per lo stesso motivo.

Quando finalmente la statua fu sistemata sul suo baldacchino, lentamente e con gli occhi gonfi di lacrime gli otto componenti della squadra che appena cinque giorni prima tra grida di gioia, si era aggiudicato quell’ambito simbolo, si abbracciarono. Era un abbraccio estremamente diverso da quello della domenica della Palme. Li c’era stata gioia nei loro cuori, le loro menti erano tese a ciò che sarebbe accaduto di li a poco, esultavano per il traguardo raggiunto. Ora, invece, nei loro cuori c’era tristezza per aver troppo presto lasciato quella statua, che appena presa sulle spalle era sembrata pesantissima, ma che invece alla fine era diventata più leggere di una piuma. Potendo l’avrebbero ripresa ancora senza alcuna fatica. Ora nelle loro menti c’era il pensiero che ci sarebbe voluto ancora un anno prima di poter riprovare quelle sensazioni uniche e soprattutto inspiegabili a molti.

Man mano la gente cominciò a uscire dalla chiesa. I primi confratelli si erano già cambiati ed anche loro in abiti civili erano ai piedi della scalinata in compagnia di mogli, fidanzate, figli e genitori. Tanta gente si salutava scambiandosi abbracci e baci sulle guance. Paolo rifletteva su quanta gente aveva visto negli ultimi minuti che non vedeva esattamente da un anno, dalla Settimana Santa precedente. Quanti tarantini lavorano e vivono lontani dalla propria città. Tanti, troppi.

Giulia e Paolo fecero ritorno al borgo percorrendo la ringhiera e godendo di quel poco sole che era rimasto e che stava per essere coperto in maniera definitiva da un cumulo di nuvole minacciose. Niente di nuovo.

Paolo era indeciso se fermarsi direttamente a piazza Carmine per l’uscita dei Misteri, alla quale mancava poco più di un’ora, oppure tornarsene a casa a riposarsi un po’ e uscire dopo qualche ora. 

Quando Fabrizio ed Enzo, che si erano cambiati nella sala del secondo piano della Congrega del Carmine, furono pronti andarono a prendere i loro bordoni e scesero in chiesa per assistere all’uscita della processione. Quei bastoni bianchi che stavano ritirando in quel momento sarebbero stati i loro fedeli compagni sino al mattino successivo. Su di loro avrebbero caricato il peso dei loro corpi man mano che la stanchezza, con il passare delle ore, avrebbe preso il sopravvento. Ognuno di loro si sarebbe sostenuto sul suo bordone ma soprattutto si sarebbe sostenuto sulla spalla del suo compagno, in quel leggero dondolio che avrebbe contraddistinto il loro passo per le prossime quattordici ore circa.

La chiesa era piena di gente, ma quello che colpiva, per chi non aveva mai visto quell’immagine erano le otto statue e gli altri simboli della processione disposti sui due lati della navata, pronti per essere caricati sulle spalle dai loro portatori. Il portone era chiuso, mancava più di mezz’ora alle cinque del pomeriggio. La tensione era elevata. C’era chi era alla sua ennesima partecipazione che dava consigli a chi per la prima volta partecipava a quella esperienza unica. Il tempo nelle ore immediatamente precedenti era leggermente peggiorato. Il cielo si era coperto di nubi minacciose che per fortuna il vento teneva all’orizzonte, la temperatura si era abbassata. La notte che stava per venire non prometteva un clima particolarmente mite.

Arrivò l’Arcivescovo per il suo saluto e per una preghiera con tutti i presenti. Il significato delle sue parole ripercorreva più o meno gli stessi punti che Fabrizio aveva ascoltato la sera precedente a San Domenico. Adesso il Vescovo nel richiamare i partecipanti ad un comportamento consono, ricordava a tutti le parole che portavano ricamate sullo scapolare: “Decor” e “Carmeli” e invitava i confratelli a ricordare sempre il Decoro da tenere lungo quel cammino. Terminata la preghiera, Monsignore prese posto su di una poltrona al lato dell’altare maggiore per assistere all’uscita della processione o almeno a parte di essa.

Oltre il portone arrivava un leggero brusio. I confratelli non stavano più nella pelle. Per Fabrizio ed il suo compagno ci sarebbe voluto ancora tempo prima di uscire, ma il troccolante era già pronto nonostante mancassero dieci minuti alle diciassette.

Quando arrivò il momento il troccolante, venendo meno ad una abitudine degli ultimi anni, calò il cappuccio sul volto prima che il portone venisse aperto, in modo che il suo anonimato restasse tale. Alle cinque in punto il portone si aprì e sulla soglia comparve lui. Subito gli addetti della confraternita gli sistemarono il cappello sulla testa. I flash dei fotografi sembravano dei lampi in quel cielo nero; il pubblico al di la delle transenne rumoreggiava chiedendo agli operatori di rendere libera la visuale; i grossi riflettori delle tv illuminavano la piazza. Dopo qualche breve secondo di impasse, si udì il suono della troccola e lentamente compì qualche piccolo passo in avanti. La prima delle tre bande diede il via alla marcia funebre.

Chi come Fabrizio era all’interno della chiesa, sbirciava fuori a guardare ora la folla, ora il cielo. Il gonfalone, la Croce dei Misteri erano già pronte e lo stesso valeva per la prima delle otto statue, Cristo all’orto e le relative tre poste che la precedevano. La successiva statua, La Colonna, era sulle spalle dei portatori mentre freneticamente venivano sistemati i cuscini di gommapiuma che avrebbero avuto il doppio effetto di livellare la statua con le diverse stature dei portatori e soprattutto di rendere più “morbido” il peso delle sdanghe sulle spalle dei confratelli.

Fabrizio ed Enzo parlottavano sottovoce. Si erano sistemati nei pressi della “loro” statua, il Crocifisso, ma ogni tanto percorrevano la navata della chiesa e cercavano di sbirciare che tempo facesse fuori. Il Gonfalone era uscito e da come si gonfiava al vento dava l’impressione di essere lo spinnaker di una barca a vela, tant’è vero che dopo qualche minuto il personale della Confraternita dovette fermarlo con delle spille e delle fasce di stoffa nera.

Enzo e Fabrizio si scambiavano le loro impressioni, i loro timori, le loro preoccupazioni. Enzo sarebbe stato a Decor mentre Fabrizio a Carmeli. Dopo l’uscita di Cristo all’orto, il Vescovo che fino ad allora, in compagnia del suo segretario e del padre spirituale della confraternita, aveva assistito all’uscita lasciò la chiesa del Carmine.

Era passata esattamente un ora e a quel punto era uscita la terza statua, l’Ecce Homo; la tabella di marcia avrebbe voluto che per le diciannove fosse uscita l’ultima statua, ma difficilmente si sarebbe potuta rispettare. A quel punto Enzo e Fabrizio avevano già preso posizione. Davanti a loro la statua della Cascata, una delle più belle e delle più difficili da portare, poi la prima posta davanti al Crocifisso e poi loro due. I cappucci ancora alzati sul volto, ma già in posizione, i bordoni nella mano esterna ed i cappelli calati sulle spalle, altre due poste dietro di loro e poi la quinta statua il Crocifisso. Man mano che le poste arrivavano sull’uscio, gli veniva abbassato il cappuccio sul volto. Arrivò anche il loro turno:

“Pronto fratè?”
“Pronto!”

E i due uscirono. Ormai si era fatto buio, il sole era tramontato. Nel momento esatto in cui Fabrizio mise i piedi al di fuori della chiesa, la sua mente fu attraversata da una serie infinita ed indefinita di sensazioni. In un momento ricordò tutto ciò che gli era accaduto negli ultimi giorni. Quanto, in un primo momento, avesse accettato a malincuore, quasi come un ripiego il fatto di partecipare alla processione dei Misteri anziché a quella dell’Addolorata, ma adesso nel preciso istante in cui i suoi piedi avevano toccato il marciapiedi subito fuori i gradini della chiesa del Carmine, capì quanto aveva sbagliato, quanto importante fosse quello che stava facendo, quanto ci tenesse. E mentre come in un film rivedeva quello che gli era accaduto nei giorni precedenti, iniziò a pregare. Pregava e ringraziava il Signore per quella opportunità che gli era stata concessa.

Quanto gente dietro le transenne. Il freddo non era riuscito a tenere lontano nessuno. Solo qualche ora prima il sole aveva riscaldato l’aria ma sembrava un ricordo lontanissimo. Il vento soffiava da mar grande e quindi arrivava in piazza Giovanni XXIII direttamente da via Massari. Le punte dei cappucci, piegate da un lato, veniva fatte svolazzare dal vento. I mazzieri e i componenti del consiglio di amministrazione invitavano i confratelli ad avanzare per permettere a chi seguiva di uscire e cercare di rispettare gli orari prefissati. La Sindone aveva fatto la sua comparsa, ma per le ultime due statue ci sarebbe voluto ancora un po’ di tempo.

Fabrizio ed il suo compagno avevano percorso il perimetro della piazza, erano arrivati su via D’Aquino, all’angolo con il palazzo degli uffici quando dopo una ventina di minuti dalla uscita della statua di Cristo morto, uscì anche l’ultima statua l’Addolorata preceduta dal clero e dai ministranti. Il portone fu chiuso. Si sarebbe riaperto il mattino successivo quando un pellegrino sarebbe arrivato a chiedere asilo.

Paolo e Giulia erano tornati a casa. Passando da piazza Carmine e vedendo la gente assiepata sulle transenne quando mancava circa un’ora all’uscita della processione, lui aveva tentennato, ma poi la stanchezza aveva avuto la meglio ed aveva deciso di rientrare a casa.

Dopo un paio d’ore però non ce la faceva più voleva uscire. Giulia lo convinse ad aspettare ancora un po’ e poi sarebbero andati insieme. Cenarono velocemente e poi uscirono diretti in via D’Aquino. Giulia che non aveva la forza e la costanza di Paolo, gli aveva estorto la promessa che dopo un paio d’ore l’avrebbe riaccompagnata a casa a meno che non avessero incontrato qualche amico o parente che avrebbe potuto sollevare Paolo da quel compito.

Ovviamente quando arrivarono in centro la gente che affollava via D’Aquino era tantissima. Riuscirono a trovare un posto discreto subito dopo l’incrocio con via Acclavio. La troccola era più o meno all’altezza della libreria Mandese e in fondo si vedeva tutto il resto della processione. Paolo si sentiva un leone in gabbia, imprigionato tra quella folla. Aspettò pazientemente scambiando qualche frase con sua moglie e ogni tanto gli capitava di incontrare qualche conoscente che salutava al volo. Dopo oltre un’ora fermi in quella posizione, il troccolante e la banda arrivarono alla loro altezza. Appena finita la marcia, Giulia chiese a suo marito se potevano ridiscendere via D’Aquino andando incontro alla processione in maniera da vederla tutta e poi essere riaccompagnata a casa. Facendosi largo a fatica tra la folla i due percorsero il marciapiede, soffermandosi per qualche secondo quando arrivavano all’altezza di ogni simbolo o di ogni statua. Arrivati a piazza Carmine che si era quasi definitivamente svuotata di fedeli, presero per via Massari e poi percorrendo via Anfiteatro tornarono a casa.

“Io mi metto a letto e ti aspetto. Tu rimani fin quando vuoi.”
“Se ce la faccio vorrei restare fino al rientro.”
“Va bene. Metto la sveglia alle cinque e mezzo e se non sei tornato ti chiamo e ti raggiungo.”
“Ok, amore mio. Buonanotte.”
“Buonanotte.”

Fabrizio ed Enzo si dondolavano, spalla contro spalla e lentamente avanzavano. Erano ormai su via D’Aquino e avevano abbastanza chiara quale fosse la situazione davanti a loro; quello che era meno chiaro era quello che accadeva alle loro spalle. Non potevano voltarsi e sottovoce facevano delle previsioni. Erano riusciti a vedere l’uscita della statua dell’Addolorata. Adesso che loro due avevano superato l’incrocio con via De Cesare si chiedevano se la processione si fosse disposta interamente su via D’Aquino e a quale punto fosse arrivato il troccolante. Riuscivano a vedere il Gonfalone che occhio e croce doveva essere arrivato in piazza Immacolata e quindi la troccola di sicuro era in piazza.

Essere davanti al Crocifisso faceva in modo che i due riuscissero ad ascoltare le note delle marce funebri eseguite dalla banda che veniva dopo la Sacra Sindone e questo li consentiva di nazzicare a ritmo. Ad ogni incrocio avevano dovuto fare i conti con il vento che soffiava trasversalmente al procedere del corteo processionale. Il camice si attaccava alle gambe, i cappucci svolazzavano e la sensazione che la temperatura stesse scendendo di alcuni gradi con il passare delle ore era netta. Poi superato l’incrocio la situazione tornava calma, ma i due si chiedevano quale fatica stessero compiendo in quei momenti i portatori delle statue e degli altri simboli.

Avvicinandosi in piazza Immacolata vedevano i fari posti su un altro palchetto montato apposta per le tv locali. Dovevano tenere gli occhi altrove per evitare di restare abbagliati. Fabrizio ricordava quando da piccolo i suoi genitori lo portavano in via D’Aquino in occasione della processione dei Misteri e poi una volta tornati a casa accendevano la tv sintonizzandola su “Video Levante” e aspettavano di veder passare la processione quando ormai era già molto tardi, all’angolo tra via Di Palma e via Regina Elena. Ora chi non poteva recarsi di persona in centro aveva una vasta offerta per non perdersi quelle immagini e non solo a Taranto e provincia, ma grazie alla tecnologia in ogni parte del mondo.

I due confratelli, spalla a spalla, nazzicandosi e avanzando lentamente, avevano superato la piazza e si incamminavano per via Di Palma. Fabrizio non aveva idea di che ora si fosse fatta, non che gli interessasse più di tanto voleva solo verificare quale fosse l’andamento della processione. Ogni tanto lui ed Enzo si scambiavano qualche parere. 

Cercava tra la folla di vedere Daniela. Sapeva che c’era e che ci sarebbe stata per tutta la durata della processione. L’aveva scorta nel primo tratto di via D’Aquino, tra la folla, poi l’aveva persa definitivamente. Sapeva che fino all’uscita da San Francesco, quando sarebbero stati su via Anfiteatro, senza l’ostacolo delle transenne, difficilmente sarebbe riuscito a rivederla. 

La stanchezza si cominciava a sentire. Avrebbe voluto piegare le gambe, sgranchirsele un po’. Avrebbe voluto poter mettere le mani sui reni e piegarsi alternando movimenti in avanti ed in dietro. Avrebbe voluto alzare il cappuccio per riuscire a respirare meglio. Quante cose avrebbe voluto fare, ma alla sosta a San Francesco mancava ancora un bel po’. C’era soltanto una cosa che poteva aiutarlo a ritrovare le forze e Fabrizio ricominciò a pregare. 

Con il passare delle ore nonostante la temperatura continuasse a scendere la gente per strada non diminuiva. Sicuramente era cambiata: le famiglie con i bimbi piccoli erano diminuite ed erano aumentate le comitive di ragazzi, ma c’era sempre tanta gente. Enzo stimò che il troccolante dovesse essere più o meno all’altezza della Coin, mentre loro due erano più o meno all’angolo tra di via Di Palma e via Pupino e l’Addolorata da quanto gli aveva riferito uno dei mazzieri era entrata da pochi minuti in piazza Immacolata. 

Enzo aveva approfittato della vicinanza di un componente del consiglio di amministrazione della Confraternita per chiedere informazioni su che ora fosse e come stesse procedendo la processione. Erano arrivati all’incrocio con via Regina Elena, ancora qualche metro e avrebbero svoltato a destra. La chiesa di San Francesco di Paola era a pochi metri, la sosta era vicina. Man mano che si erano avvicinati a quel traguardo, la stanchezza nei loro fisici era aumentata in maniera esponenziale. Ora erano allo stremo. Tanti portatori delle statue avevano chiesto dei veloci cambi ad una delle sette mazze. Loro fino a quel momento avevano resistito, sapevano che il loro sforzo non era paragonabile a quello degli sdanghieri e contavano di arrivare alla sosta. Il freddo era diventato insopportabile. Pochi metri prima avevano avuto la sensazione che i marciapiedi si fossero anche svuotati un po’ e verosimilmente era così, adesso invece il tratto finale di via Di Palma e il breve tratto di via Regina Elena, brulicavano nuovamente di persone. Mancavano cinque minuti a mezzanotte.