martedì 25 marzo 2014


Claudio Capraro: "Otto giorni"

LUNEDI

Alle sette in punto Fabrizio era già al suo “posto di combattimento”. 

Quella notte aveva dormito profondamente ed il mattino si era svegliato con difficoltà. Si era lavato, aveva buttato giù il caffè che sua madre gli aveva preparato, alzandosi anche quel giorno alle cinque esclusivamente per lui. A niente servivano le raccomandazioni ed a volte anche i rimproveri, sia pur bonari, che Fabrizio le faceva affinché non si alzasse, che tanto il caffè lo avrebbe preso al bar, ma non c’era verso, sua madre non lo ascoltava.

Arrivato nello stabilimento, i suoi colleghi che conoscevano la sua passione gli chiesero informazioni su cosa avesse fatto il giorno precedente, ma Fabrizio non aveva molta voglia di parlare anche perché sapeva dove alcuni di loro avrebbero voluto portare il discorso:

“Ma tutti ‘sti soldi…”
“Sono dei fanatici…”
“Prima vanno a rubare e poi fanno la processione…”

Tante volte Fabrizio aveva provato a spiegare a questa gente il suo punto di vista, a far capire loro che molti dei loro pensieri erano in realtà preconcetti, ma quella mattina non aveva voglia di parlare. Il suo era un misto di gioia per poter partecipare alla processione dei Misteri e di tristezza per non poter partecipare a quella dell’Addolorata. Voleva stare solo con i suoi pensieri.

Per fortuna a tirarlo su arrivo un sms di Daniela, che oltre a dargli il buongiorno, chiedeva di chiamarla appena si fosse potuto liberare.

Fabrizio l’avrebbe chiamata subito, ma fu il suo capo a chiamare lui e dovette rimandare; l’altoforno non poteva aspettare.

Nonostante quella notte Paolo avesse dormito poco, i suoi occhi erano spalancati già molto tempo prima che la sveglia suonasse. Quando questa si attivò fu per lui una liberazione, non vedeva l’ora di alzarsi per cominciare quella nuova ed intensa settimana.

Raccontò velocemente a Giulia della sera precedente, volle sapere cosa avesse fatto lei ed in anticipo sul solito orario uscì da casa. Non che avesse fretta di andare in ufficio; la sua fretta era di correre in edicola per leggere sul “Corriere” maggiori dettagli delle Gare della sera precedente. L’edicolante quel giorno fu più loquace del solito, anche lui confratello, si erano incrociati la sera precedente. Scambiarono due chiacchiere e poi Paolo corse via.

Leggeva e camminava alzando di tanto in tanto la testa per guardare la strada e soprattutto per scrutare il cielo che era pieno di nuvole che non promettevano nulla di buono.

Arrivato in ufficio, i suoi colleghi gli chiesero cosa avesse fatto la sera precedente e così mentre prendevano posto ognuno alla propria scrivania, si scambiarono qualche commento.

Paolo approfittò per chiamare sua madre e comunicarle la notizia. Era pieno di entusiasmo, come un bimbo che ha portato a casa una pagella piena di sette e otto.

Purtroppo il suo entusiasmo scemò in breve tempo, visto che la madre incapace di gioire della sua gioia, ancora una volta pronunciò le sue solite frasi che per Paolo avevano un effetto peggiore dell’orticaria:

“Mi raccomando, vestiti pesante da sotto.”

“Ma non fa freddo con quei piedi scalzi?”

“Ma lo devi fare proprio? Ma se vuoi, poi ad un certo punto ti puoi fermare?”

La pressione arteriosa di Paolo ebbe un’impennata; più sua madre incalzava con le domande, più il tono della voce di Paolo aumentava e quella che sarebbe dovuta essere una telefonata privata divenne ben presto pubblica. Poi Paolo fece lentamente ammenda, decise di far finta di ascoltare e cercò di concludere rapidamente la telefonata, ma gli effetti si sarebbero visti sul suo volto ancora per qualche minuto.

Non fu una giornata liscia in stabilimento e Fabrizio ebbe un gran da fare. I problemi erano differenti e sembrava che quella mattina più di qualcuno si fosse alzato dalla parte sbagliata del letto. Arrivò a fine turno senza quasi rendersene conto e soprattutto senza aver trovato modo di poter telefonare a Daniela; era riuscito a mandarle solo un messaggio mentre si fermava un attimo per andare in bagno.

Andò nello spogliatoio a cambiarsi e farsi una doccia e solo allora si rese conto di essere arrivato al termine della sua giornata lavorativa senza aver pensato neanche una volta all’impegno che lo attendeva il venerdì.

Aveva già fatto richiesta per dei giorni di ferie; riepilogò mentalmente cosa lo aspettava per quella settimana: martedì secondo, mercoledì notte e poi smontava e andava in ferie fino al martedì dopo Pasquetta. In quel momento, però, venne preso da un lieve timore: e se fosse sorto qualche problema e gli avessero bloccato le ferie? Era già successo qualche volta e con l’aria che tirava quel giorno… Quel pomeriggio più di qualcuno non si era presentato e a più di qualcun altro era toccato rimanere per mezzo turno, poi sarebbero arrivati quelli del “terzo” con qualche ora d’anticipo e così si sarebbero ripartiti il lavoro degli assenti.

Mentre era nel parcheggio alla ricerca della sua auto Fabrizio vide il suo capo e decise di avvicinarsi e chiedere come se niente fosse:

“Signor Cuocci, tutto a posto per le ferie?”
“Si, si, non ti preoccupare. Ti fai Pasqua fuori? Parti?”
“No, no resto qui a Taranto…”
“Ah già tu fai il perdono. Che hai preso quest’anno?
“Faccio la processione dei Misteri, seconda posta davanti al Crocifisso.”
“Ah, il giovedì notte a Taranto vecchia.”
“No il venerdì pomeriggio e non a Taranto vecchia.”

Il signor Cuocci fece una faccia che sembrava volesse dire: “moh tu mi devi dire a me certe cose?!”, ma Fabrizio che aveva capito la piega che la conversazione rischiava di prendere non gli diede modo di ribattere, salutò e andò via.

Non sapeva spiegarsi se ad infastidirlo fosse la ciucciaggine del suo capo a proposito dei riti, il suo neanche tanto velato sarcasmo o cos’altro. Si infilò in macchina, mise in moto, ingranò la prima e partì, contemporaneamente con l’altra mano componeva il numero di Daniela e finalmente riuscì ad ascoltare la voce del suo amore.

Nella pausa pranzo, Paolo riusciva a tornare a casa, a mangiare e magari anche a farsi una pennichella sul divano. Quel giorno la pennichella saltò. Mentre Giulia finiva di sparecchiare, Paolo aprì l’armadio ed iniziò a tirar fuori il camice, la mozzetta e poi via via il cappello, lo scapolare e la busta che conteneva i guanti, il cappuccio, la corona del Rosario, la cintura nera. Si chiese se mancasse nulla. Aprì la custodia della mozzetta in modo che potesse prendere un po’ di aria dopo essere stata chiusa nell’armadio con la naftalina. Diede una occhiata generale al tutto e rimandò le operazioni più dettagliate per la sera, adesso aveva i minuti contati.

Il pomeriggio in ufficio per fortuna volò e Paolo riuscì a trovare il tempo per mandare una mail a tutti i suoi amici per informarli di cosa si fosse aggiudicato la sera prima. Era importante soprattutto avvisare quelli che vivevano fuori Taranto e che erano la gran parte della sua vecchia comitiva. Diede una occhiata veloce anche ai siti internet dedicati ai Riti e lesse alcuni interventi sui forum a tema. La felicità per essersi aggiudicato un simbolo o il malumore per non essere riuscito a farlo ormai seguivano altre strade che non fossero le chiacchiere all’angolo di via D’Aquino con via Giovinazzi: viaggiavano sul web. Diede un ultima occhiata alla sua casella di posta e vide con gioia che i primi “fuori sede” rispondevano alle sue mail, promettendo che avrebbero fatto di tutto per tornare a Taranto in tempo per godersi i Riti.

Fabrizio passò a prendere Daniela; arrivato sotto casa della sua ragazza le fece uno squillo col cellulare e questa volta dopo pochi minuti lei si materializzò davanti ai suoi occhi. Fabrizio non fece in tempo a scendere dalla macchina per andarle incontro che lei aprì lo sportello, si infilò dentro la Punto e saltò al collo del suo fidanzato riempiendolo di baci.

Lo sommerse di domande su come fosse andato il lavoro e soprattutto su cosa lo aspettava il Venerdì Santo, sulla Gara della sera precedente, chiese informazioni sul suo compagno di posta e tante altre domande. Ad un certo punto Fabrizio riuscì ad interromperla; anche lui avrebbe avuto delle domande da farle, ma soprattutto era digiuno e aveva assoluto bisogno di mettere qualcosa nello stomaco. Aveva già affrontato una discussione al telefono con la madre che pretendeva che tornasse a casa a mangiare ed invece lui aveva fretta di vedere Daniela. Difficili gli equilibri!

Decisero di andare in un bar non molto lontano dove si sarebbero potuti sedere a chiacchierare e, soprattutto per Fabrizio, a mangiare. Daniela però aveva altri piani, la mattina dopo aveva l’esame a Bari e sarebbe dovuta tornare a casa a terminare gli ultimissimi appunti, ma prima di rientrare e dopo il bar, strappò a Fabrizio la promessa che avrebbero passato un’oretta in macchina a farsi un po’ di coccole. Fabrizio fece finta di essere stanco, ma in realtà quell’idea lo stuzzicava parecchio e avrebbe voluto molto più di un’ora, ma sapeva già che allo scadere del tempo previsto Daniela sarebbe stata irremovibile; pazienza.

Tornato a casa, trovò sua madre che aveva recuperato dall’armadio la vecchia valigia con dentro l’abito della confraternita e tutti gli annessi e connessi e aveva disposto il camice sull’asse da stiro. Fabrizio sapeva che ci sarebbe potuta essere aria di tempesta, visto il suo rifiuto di tornare a casa a pranzo, ma sapeva già come comportarsi, aveva un metodo collaudato. Appena entrato si fiondò da sua madre e le diede due baci, uno per guancia, poi l’abbracciò dicendole frasi del tipo: “bella la mamma mia!” che ebbero in pochi istanti l’effetto sperato.

“Nah a mammà ti faccio un poco di pasta?”
“No, mà grazie. Ho mangiato un panino.”
“Un panino? E che devi fare con un panino?”
“Ma sono quasi le sette, non ho fame, tra un’ora mangiamo tutti assieme tanto stasera non esco resta a casa.”
“Non ti devi andare dall’amore tuo?”
“Maaaà, la finisci! Lo sai che Daniela domani c’ha l’esame a Bari.”
“Ah già.”

Fabrizio cambiò intelligentemente discorso:

“Ma già oggi lo stai stirando il camice?”
“Non lo sto stirando, stò dando un’occhiata se è tutto a posto, poi lo lavo – e speriamo che co stò tempo si asciuga - e poi te lo stiro. Fammi fare a me che sò quello che devo fare, non ti preoccupare, per venerdì è tutto pronto.”
“Si, si, fai tu… e non fare piovere.”

Tornato a casa, Paolo riprese le operazioni che aveva dovuto lasciare a metà dopo pranzo. Giulia era al lavoro e sarebbe tornata non prima di un’ora. Accese il lettore Dvd e si immerse totalmente nella melodia di “A Gravame”. 

Verificò i nastri del cappello e dello scapolare, erano un po’ aggrinziti, poi passò ai bottoni del camice e della mozzetta; spesso mentre si vestiva nei locali della Confraternita per prendere parte ad una processione, qualche bottone gli era rimasto in mano e si era dovuto arrangiare alla meglio. Verificò che le medaglie della corona del Rosario fossero tutte salde e dopo aver finito con l’abito da confratello, passò a quello che avrebbe dovuto indossare da sotto il camice. Quel lunedì era stato nuvoloso, ma non freddo. Tirava un vento di scirocco, ma Paolo sapeva bene che nei giorni a venire sarebbero arrivati freddo, vento e soprattutto pioggia e che quindi bisognava equipaggiarsi.

Il suo abbigliamento era ormai collaudato: il pantalone di una vecchia tuta da jogging, le cui gambe Paolo provvedeva a piegare e fermare con delle “spille francesi” all’altezza dei polpacci. Sopra avrebbe indossato un vecchio maglione di lana infeltrito. Questa caratteristica se da un lato rendeva non facili i movimenti, dall’altro faceva in modo che attraverso quelle fibre non passasse un filo d’aria.

Giulia arrivò e dopo aver salutato Paolo, iniziò contemporaneamente a raccontare della sua giornata lavorativa ed a “fingere” di lamentarsi per le note che invadevano la casa; ora era il turno di “Inno a Cristo Morto"