giovedì 13 marzo 2014

Giovanni Schinaia


La processione dei Misteri tarantina ha inizio in un anno imprecisato alla fine del XVII secolo. Altri propendono per una data seriore, spostandone l’inizio ai primissimi anni del ‘700. Si trattava di una processione “privata”: l’iniziativa di un fedele, Diego Calò che, a proprie spese, aveva fatto realizzare le statue di Gesù Morto e dell’Addolorata. Nelle ore serali del Venerdì Santo, nello spazio temporale in cui, da sempre, è proibita ogni liturgia, probabilmente dallo stesso palazzo Calò, nei pressi della chiesa di San Michele in Città Vecchia, aveva inizio la processione alla quale il nobile tarantino, provvedeva ad invitare più Confraternite cittadine. Così fino al 1765 quando un pronipote di Diego, Francescantonio Calò decise di fare dono alla Confraternita del Carmine delle due statue e con esse, di affidare a quel sodalizio l’onore e l’onere di organizzare la processione del Venerdì Santo. Ricevute in dono le due statue, la Confraternita del Carmine provvide, in un tempo relativamente breve, ad aggiungerne altre sei, fino alle otto attuali.

Foto Naldi Schinaia
Non deve sfuggirci la portata storica e ideologica della scelta operata dagli amministratori dell’epoca. Di fatto, l’aggiunta di 6 simulacri non fu un fatto solamente “tecnico”, o dettato da motivi estetici, o pratici. La processione originaria, composta com’era dalle sole statue del Cristo Morto e della Vergine Addolorata, non era diversa da una processione funebre, un funerale solenne in strada, il funerale di Gesù appunto, col feretro, il clero, e i parenti a seguire il feretro, nel nostro caso l’Addolorata e i fedeli in preghiera. La processione fotografava idealmente, e riproduceva, trasfigurandola secondo i canoni estetici e liturgici del tempo, la scena della deposizione del corpo esanime di Cristo nel Sepolcro. Possiamo allora dire che la processione aveva all’epoca una natura “sincronica” o statica

L’aggiunta delle altre statue trasforma di fatto la natura della processione tarantina, da sincronica e statica in diacronica e dinamica. Quello che viene portato in strada non è più allora il funerale di Cristo, ma di fatto, una Via Crucis, una sacra rappresentazione degli ultimi momenti della vita del Redentore. Se il Calò aveva pensato di portare in strada un’immagine a edificazione del popolo cristiano, la Confraternita si spinge molto oltre: la sua processione non è più la sacra rappresentazione della traslazione del corpo del Signore al Santo Sepolcro, bensì un racconto al popolo, per il popolo, un racconto “storico” delle ultime ore di vita terrena di Gesù, mediante il linguaggio delle immagini, e il racconto “catechetico” della “Compassio Domini” ottenuta invece col linguaggio della penitenza da parte dei Confratelli scalzi e incappucciati.

Non sappiamo se in questa scelta gli amministratori dell’epoca furono consigliati magari da ecclesiastici, o piuttosto furono animati da quel sensus fidei che ha sempre costituito l’elemento più caratterizzante dell’identità del nostro popolo. In ogni caso quegli amministratori si dimostrarono spiriti lungimiranti e sapienti nello scegliere quali episodi raffigurare, e pur potendo pescare fra le tante scene della tradizione apocrifa di sicura presa emotiva nel popolino, si orientarono su scene rigorosamente evangeliche: l’agonia di Gesù nel Getsemani, la flagellazione, l’umiliazione della coronazione di spine e dell’Ecce Homo, la salita al Calvario, la Crocifissione. In definitiva i 5 misteri dolorosi del Santo Rosario, quella che per eccellenza è la pratica di pietà popolare più diffusa e amata nell’Orbe cristiano.

Ecco la processione dei Misteri: i Misteri dolorosi. A ben vedere è solo da questo momento che si può parlare di “processione dei Sacri Misteri”, da quando cioè a sfilare per le strade di quella vecchia Taranto non fu più la rappresentazione “sincronica” di una processione funebre, ma quella “diacronica” dei Misteri di fede legati agli ultimi momenti della vita terrena del Signore.