giovedì 29 dicembre 2016

Una chicca del Confratello ed amico Benedetto Mainini che ci regale un escursus sul Natale Tarantino da leggere in due parti. Buona lettura

Benedetto M.Mainini


Patrimonio ricchissimo quello delle tradizioni natalizie che nella nostra Taranto hanno inizio con la festa di Santa Cecilia. È un ciclo di feste che dura ben 46 giorni e che si concluderà con l’Epifania.

In questo lungo periodo assumono il ruolo di protagonista le pastorali e le pettole.

Le pastorali tarentine hanno avuto origine nel 1870 quando un Capitano d’Artiglieria, Giovanni Ippolito, morto nel 1893, compose la prima pastorale che la storia cittadina ricordi. Egli la compose nell’anno in cui diresse il concerto bandistico di Taranto. Dopo Nino Ippolito, nel 1880, il maestro Francesco Battista compose due pastorali intitolate “Pastorale n.1” e “Pastorale n.2”.

Seguì il maestro Gennaro Caggiano, fratello della poetessa e ispettrice scolastica Anna, e nel 1904 il maestro clarinettista Francesco De Benedictis (1855-1933), ricercatissimo solista e direttore della banda di Montemesola, compose un’altra notissima pastorale. Seguirono Giacomo Lacerenza, che compose due pastorali nel 1921 e nel 1922 intitolate anch’esse “Pastorale n.1” e “Pastorale n.2”, Domenico Colucci, direttore della banda di Taranto dal 1921 al 1930, che compose la pastorale intitolata “Nuit de Noel”, Carlo Carducci, Giovanni Bembo, Luigi Rizzola e Ezio Giorgio Vernaglione, direttore della banda dei “Combattenti” di Taranto e altri fino a giungere al nostro Giuseppe Gregucci; degna di menzione è la bellissima pastorale composta dal Maestro Dino Milella, per anni direttore del Conservatorio “Nino Rota” di Bari, un’eleganza di note che si succedono a formare una melodia che riporta la mente alle musiche che i pastori suonavano per allietare il loro lavoro durante la transumanza: è un vero quadro bucolico!

Le pettole sono delle frittelle (dal latino pittula, frittella, e pitta, focaccia) che per tradizione vengono consumate in questo lungo periodo di feste. In realtà ci sono giorni fissi, secondo la tradizione, in cui consumare le pettole: oggi, il 25 novembre per Santa Caterina, il 7 dicembre per la Vigilia dell’Immacolata, giorno tra l’altro dedicato alla preparazione nelle case del Presepio, la Vigilia di Natale, a Capodanno, all’Epifania. Ma la bontà di questa semplice frittella, capace di fare la felicità di tutti, è tale da conquistarsi un posto sulle tavole di…ogni giorno di questo periodo, con buona pace per il nostro fegato! Ma, tant’è: Natale viene una volta l’anno.


Ma come nacquero le pettole? La tradizione ci tramanda questa leggenda: si narra che un giorno una donna si alzò all’alba e decise di preparare il pane caldo per i suoi figli. Mentre l’impasto lievitava, la donna si affacciò alla finestra per guardare e sentire la banda che passava. Appena si girò vide che l’impasto era lievitato troppo e allora, senza perdersi d’animo, prese l’olio, stacco piccoli pezzi di pasta e li mise a friggere. Poi li diede ai suoi figli che chiesero il nome di quello strano pane. “Si chiamano Pettole”. Disse la mamma ai figli curiosi di tale cibo. Dopo un poco di stupore il più piccolo dei figli chiese: “E ce sont?” e la mamma: “Le cuscine du Bammine”, cioè il guanciale di Gesù Bambino. Ancora oggi, i nostri nonni, raccontano che l’interno delle pettole è soffice, proprio la bambagia che avvolse il Bambino Gesù!

Naturalmente non sono solo questi i dolci natalizi: abbiamo le carteddàte, le sanacciùdere, le bucchenotte, le diénte de San Geséppe. Una volta si facevano anche le fave de zacchere, dolci di pasta reale. Che erano prodotti dalle monache di clausura dell’ex convento di S. Giovanni (dove ora c’è la scuola elementare Consiglio, in Città Vecchia), tra le quali era molto abile suor Beatrice Amati, meglio nota come “zia Mòneche”.