giovedì 22 dicembre 2016

Claudio Capraro

Qualche giorno fa l’Arcivescovo Santoro dopo una celebrazione eucaristica, ha scoperto una targa commemorativa posta per ricordare il cinquantesimo anniversario della nascita del quartiere Paolo VI. Il quartiere nacque come un conglomerato di edilizia popolare per i dipendenti dell’allora Italsider e al momento della posa della prima pietra il nome che aveva era quello di “Macchie”. Si trasferirono ad abitare dai vari quartieri della città operai, impiegati e quadri con le rispettive famiglie; poi ci furono ondate successive di flussi migratori, alcuni massicci da parte di abitanti dell’isola le cui case erano diventate inagibili e pericolanti e che furono trasferiti in maniera più o meno forzata in quel quartiere decisamente periferico.


Ma al di là delle considerazioni di ogni altro tipo, mi capita spesso parlare con gente che non è di Taranto che mi chiede come mai un quartiere della mia città porti il nome di un Pontefice e non di uno a cui è stato facile intitolare vie, piazze, scuole, palazzetti dello sport come è avvenuto per il Santo Giovanni Paolo II, ma un Papa che ha dovuto traghettare la Chiesa in un momento difficile per i cambiamenti della società tra la fine degli anni 60 ed i 70.

Domenica 1 dicembre 1968. Una Italia diversa, una Taranto diversa. Meglio potremmo dire diversissime. Papa Montini, Paolo VI, annuncia:

“Quanto a noi, Vi confidiamo che speriamo di celebrare la Messa notturna di Natale a Taranto, per i lavoratori e le maestranze del nuovo grande Centro siderurgico, dove sono operai impegnati, anche in quell’opera beata, nella loro dura fatica, molti lontani dalle loro case, e tutti al servizio di un’opera che vuol dare lavoro, pane, fiducia a migliaia di uomini figli di una terra chiamata al risveglio e allo sviluppo economico, sociale, spirituale di una sana e fraterna civiltà moderna. Ci è stato accordato cortesemente l’accesso a questo nuovissimo campo del gigantesco lavoro industriale contemporaneo; e vorremmo portarvi con la nostra semplice presenza il segno della presenza fraterna irradiante di Cristo, il saluto della gioia, della pace, della solidarietà a quel centro umano estremamente significativo e quasi simbolo e presagio del rinnovamento delle terre oggi aperte a nuovi destini civili e spirituali.

 Le crediamo ben degne e bisognose di qualche onore e di qualche conforto da parte di chi, come noi, ha la tremenda sorte di rappresentare Cristo Signore, viandante e vivente nella storia dell’umanità, ben ricordando che Lui stesso fu tra noi piccolo, umile, povero, affaticato e insieme fu messia della redenzione da ogni nostra morale miseria e profeta delle speranze del regno dei cieli. Sarà tra gli altiforni – a Dio piacendo – quest’anno il nostro presepio. Valga l’annuncio a riempire il vostro avvento di nuova attesa del vicino Natale. Sia con noi la Madonna.”

Questo l’annuncio. Ometto di riportare l’omelia del Santo Padre tenuta la notte del 25 dicembre nei capannoni dell’Italsider, ma che è facilmente reperibile dal sito internet del Vaticano. Quello che si legge in queste parole, come in quelle dell’omelia – dove il Papa, tocca una serie di altri argomenti importantissimi come il rapporto tra Chiesa e mondo del lavoro, due realtà che fanno fatica a parlarsi e comprendersi – è la differente percezione della presenza della grande fabbrica sul nostro territorio.

Non solo la Chiesa, ma anche tutta la società, la politica vedevano allora in quella grande fabbrica solo ed esclusivamente aspetti positivi: lavoro, progresso, risveglio di una terra che era in dietro rispetto al resto del Paese. Tutte cose bellissime.

A distanza di meno di cinquant’anni è cambiata la percezione da parte di tutti i soggetti: della Chiesa di Roma che in tanti modi, ma soprattutto con l’Enciclica “Laudato Sì” ha espresso la propria posizione riguardo la salvaguardia del Creato; della Chiesa locale che ha nell’attuale Pastore un tenace combattente affinché possa essere possibile coniugare lavoro e salute per i lavoratori dell’acciaieria e per tutti gli abitanti di questa nostra città che soffrono tanto. E’ cambiata la percezione di politici, sindacalisti, della società civile.

Quel quartiere periferico che vide il suo nome tramutato da “Macchie” a “Paolo VI”, proprio per ricordare quella storica visita natalizia di un successore di Pietro, è uno spaccato di tutta la nostra Taranto: ci vivono dipendenti di quello che allora era Italsider e chi ha diversificato il suo lavoro affrancandosi dalla fabbrica; ci vivono e combattono malati grandi e piccoli; ci vivono persone costrette a lasciare i vicoli della città vecchia, ma che soffrono in questo periodo di feste ancora di più di ogni altro giorno quel distacco quando il Natale lo si viveva non in grandi palazzi gelidi, ma riscaldandosi con il tepore che usciva dalle case a pian terreno le cui porte erano sempre aperte.