martedì 27 dicembre 2016

Alessandro Della Queva

Quando un paio di anni fa salii le scale della Congrega con i documenti per iscrivermi al corso di noviziato avevo un unico desiderio: cogliere gli aspetti della vita confraternale e apprenderne gli insegnamenti. Sin dai primi incontri capii di aver fatto la cosa giusta: la vita confraternale è un modo collettivo di vivere la propria cristianità all’insegna della carità, della fratellanza, della parola di Nostro Signore. Ma come spesso ripetuto dal Nostro Padre Spirituale è fondamentale che tutto quanto non resti soltanto tra le mura della Confraternita (o della Parrocchia) ma diventi spina dorsale nella nostra vita quotidiana e civile.

Alcuni passaggi del mio percorso verso l’aggregazione li ricordo ancora molto bene: in particolare una sera fu sottolineato come l’essere Confratello del Carmine insegni a saper attendere per qualcosa di desiderato, a perseguire giorno per giorno un obiettivo più o meno lontano nel tempo, ad attendere e sperare, con tenacia, perseveranza e determinazione; insegni ad affrontare anche una delusione e a trasformarla in un nuovo desiderio, un nuovo fine, una nuova prova.

Benché ognuno di noi si impegni a vivere l’intero anno liturgico con la stessa devozione ed intensità inevitabilmente il nostra “capodanno” resta la Settimana Santa: gran parte delle nostre attese terminano in quei giorni e ripartono dal giorno di Pasqua in cui, ancora con il sapore del cioccolato in bocca, pensiamo già a come “vestirci” l’anno prossimo, con chi, sotto quale “sdanga” o con quale simbolo.

Ed è proprio questo anelito che ci insegna ogni giorno a rinunciare a qualcosa di piccolo, effimero, probabilmente anche venale in cambio di una notte scalza ed incappucciata.

Sabato scorso, come da abitudine, sono andato al mercato rionale per la consueta “spesa” settimanale; tra le bancarelle di frutta e verdura, tra le grida ammaliatrici dei diversi commercianti, ad un certo punto, distinto ho sentito “Fratè, stè stìpe?”.

Mi sono girato è alle mie spalle ho trovato un Fratello ancora intento a mimare con la mano il gesto di chi “mette da parte” qualcosa. Ci siamo scambiati un sorriso complice, un appena percettibile sospiro e dopo esserci salutati abbiamo subito parlato di altro prima di congedarci affettuosamente e continuare ognuno il proprio rituale periodico.

Poco dopo mi aggiravo di nuovo tra le bancarelle cercando, come tutti, quella più convincente, invitante ed economica; preso “l’essenziale” mi sono recato verso casa pensando ancora all’incontro fatto pochi minuti prima e a quella battuta. Mi sono soffermato sulla soglia del mercato, ho guardato le buste che stringevo tra le mani e sono tornato sui miei passi: è Natale, è la ricorrenza della nascita di Gesù e come tradizione prevede va onorata, oltre che con i classici regali, con una “tavola” ricca e apparecchiata a festa… all’anno nuovo si vedrà.