mercoledì 27 maggio 2015

Alessandro Della Queva 

Una delle più belle e originali canzoni che parlano della Madonna è senza dubbio “Tre Madri”, composta da Fabrizio De Andrè nel 1970 e inserita nell’album intitolato “La Buona Novella”. L’autore, dichiaratamente ateo, prova a disegnare un profilo di una Maria meno etereo e santo ma più umano, imperfetto e forse per questo più vicino a noi.

Nelle prime strofe del testo il cantautore genovese dà voce alle madri dei due ladroni: la prima si rivolge a Tito dicendogli che pur non essendo egli figlio di Dio ha comunque ai suoi piedi una mamma che muore dal dolore a vederlo crocifisso; lo stesso dice la mamma di Dimaco, abbandonata, come suo figlio, dall’uomo che quel figlio le fece concepire e addolorata anch’essa dalla crocifissione del sangue del suo sangue.

Il brano prosegue e racconta lo stupore delle prime due madri nel vedere Maria piangere la morte Gesù; provano addirittura a dissuaderla e a consolarla ricordandole che solo tre giorni dopo suo figlio risorgerà.

Le parole che De Andrè fa pronunciare alla sua Maria sono quanto mai umane e dirette: Maria piange l’assenza fisica di suo figlio, il suo essere uomo, rivendica il suo diritto di madre; una sorta di sano egoismo, comune a qualsiasi mamma del mondo, che arriva a farne rivendicare l’appartenenza. Ricorda di averlo amato ancor prima di metterlo alla luce, prima di vederlo, prima di poterlo stringere tra le braccia; di avere accettato incondizionatamente la Sua esistenza. Trapela sul finale una sorta di rimorso quando afferma “Non fossi stato figlio di Dio t’avrei ancora per figlio mio”.

Personalmente ascoltare queste brano mi ha sempre procurato un nodo alla gola e mi ha sempre messo in evidenza un aspetto drammatico della esistenza di Maria: solo immaginando davvero ciò che di fatto è stato chiesto alla Madonna, provandoci a mettere nei suoi panni possiamo scorgere quanto l’aggettivo “Addolorata” rappresenti timidamente la sua vera pena.

 La grandezza del gesto di Maria è stata quella di accettare di rinunciare al proprio figlio, seppur per il bene dell’intera umanità; indubbiamente è il più grande e inarrivabile gesto di generosità e bontà che un essere umano, una mamma, possa fare. È il gesto di amore più simile e vicino all’amore che solo Dio comprende e sa dare.

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