venerdì 27 giugno 2014

Antonino Russo

« Qui, in terra, l'occhio dell'anima è l'amore, il solo valido a superare ogni velo. Dove l'intelletto s'arresta, procede l'amore che con il suo calore porta all'unione con Dio »

Sant’Antonio è una figura venerata in tutto il mondo: è un Santo che ha compiuto prodigi in vita e dopo la sua morte ma che ha soprattutto predicato il Vangelo combattendo l’eresia.

Fernando, questo il suo nome di Battesimo, praticò esorcismi, profezie, guarigioni.

I miracoli che gli sono riconosciuti sono davvero tanti: riattaccò una gamba recisa, fece ritrovare il cuore di un avaro in uno scrigno, ad una donna riattaccò i capelli che il marito geloso le aveva strappato, costrinse una mula ad inginocchiarsi davanti all'Ostia, rese innocui cibi avvelenati, predicò ai pesci, fu visto in più luoghi contemporaneamente (da qualcuno anche con Gesù Bambino in braccio) fece parlare il neonato considerato da un marito geloso il "frutto del peccato", per testimoniare l'innocenza della donna.

Fernando nasce a Lisbona da una nobile famiglia portoghese discendente da Goffredo di Buglione.

A quindici anni Fernando è novizio nel monastero di San Vincenzo a Lisbona, poi si trasferisce nel monastero di Santa Croce di Coimbra il maggior centro culturale del Portogallo appartenente all'Ordine dei Canonici regolari di Sant'Agostino, dove studia scienze e teologia, preparandosi all'ordinazione sacerdotale che riceverà nel 1219, a ventiquattro anni.

Nonostante la bravura negli studi teologici e nella predicazione, in cuor suo desidera una vita religiosamente più severa.

Il suo desiderio si realizza nel 1220: giungono a Coimbra i corpi di cinque frati francescani decapitati in Marocco, dove si erano recati a predicare su mandato di Francesco d'Assisi e quando i frati del convento di monte Olivares arrivano per accogliere le spoglie dei martiri, Fernando confida loro la sua aspirazione di vivere nello spirito del Vangelo. Ottenuto il permesso dai suoi superiori, Fernando entra nel romitorio dei Minori e fa subito professione religiosa, scegliendo il nome Antonio in onore dell'abate ed eremita. Chiede ed ottiene di partire missionario in Marocco.

È verso la fine del 1220 che s'imbarca su un veliero diretto in Africa, ma durante il viaggio è colpito da febbre malarica e costretto a letto. La malattia si protrae e in primavera i compagni lo convincono a rientrare in patria per curarsi.

Secondo altre versioni, Antonio non si fermò mai in Marocco: ammalatosi appena partito da Lisbona, la nave fu spinta da una tempesta direttamente a Messina, in Sicilia. Curato dai francescani della città, in due mesi guarisce. A Pentecoste è invitato al Capitolo generale di Assisi: arriva con altri francescani a Santa Maria degli Angeli dove ha modo di ascoltare San Francesco, ma, in quella sede, non di conoscerlo personalmente.

Ad Antonio è assegnato il ruolo di predicatore e insegnante dallo stesso San Francesco, che gli scrive una lettera raccomandandogli, però, di non perdere lo spirito della santa orazione e della devozione.

Comincia a predicare nella Romagna, prosegue nell'Italia settentrionale, arriva sino in Francia. Mentre si trova in visita ad Arles, si racconta gli sia apparso Francesco che aveva appena ricevuto le stigmate.

Antonio visita i conventi per conoscere personalmente tutti i frati, controlla le Clarisse e il Terz'ordine, va a Firenze, finché fissa la residenza a Padova e in due mesi scrive i Sermoni domenicali: i suoi temi preferiti sono i precetti della fede, della morale e della virtù, l'amore di Dio e la pietà verso i poveri, la preghiera e l'umiltà, la mortificazione e si scaglia contro l'orgoglio e la lussuria, l'avarizia e l'usura di cui è acerrimo nemico.

E' inoltre convinto assertore dell'assunzione della Vergine Maria.

Per riposarsi dopo il tanto peregrinare si ritira a Camposampiero, vicino Padova, dove il conte Tiso, che aveva regalato un eremo ai frati, gli fa allestire una stanzetta tra i rami di un grande albero di noce. Da qui Antonio predica, ma scende anche a confessare e la sera torna alla sua “cella”. Una notte che si era recato a controllare come stesse Antonio, il conte Tiso è attirato da una grande luce che esce dal suo rifugio e assiste alla visita che Gesù Bambino fa al Santo.

A mezzogiorno del 13 giugno 1231, era un venerdì, Antonio si sente mancare e prega i confratelli di portarlo a Padova, dove morirà. Si narra che mentre stava per spirare ebbe la visione del Signore e che al momento della sua morte, nella città di Padova frotte di bambini presero a correre e a gridare che il Santo era morto.

Non appena il corpo giunge a destinazione nella chiesa di Mater Domini iniziano i miracoli, alcuni documentati da testimoni.

Antonio fu canonizzato l'anno seguente la sua morte, dal papa Gregorio IX e ne 1946 Pio XII lo ha proclamato Dottore della Chiesa.

Trentadue anni dopo la sua morte, durante la traslazione delle sue spoglie, San Bonaventura da Bagnoregio trovò la lingua di Antonio incorrotta, ed è conservata nella cappella del Tesoro presso la basilica della città di Padova di cui è patrono.