venerdì 3 febbraio 2017

Claudio Capraro

Quaranta giorni erano passati da quella notte fredda e piena di meraviglie. La grotta, la mangiatoia erano un ricordo, nel frattempo avevano trovato una casa dove poter stare sicuramente più comodi e riparati e nella quale Giuseppe, maestro falegname, aveva sistemato la piccola culla di legno che aveva costruito con le sue mani.

Quante cose meravigliose erano accadute: i pastori, la stella, i Magi con i loro doni. Adesso stava preparandosi, quella mattina dovevano recarsi al tempio. Per Lei erano passati i giorni previsti dalla Legge nei quali, successivamente al parto, era considerata impura e quindi ora poteva presentarsi nuovamente al Tempio. Trascorso lo stesso periodo di tempo, sempre per la legge di Mosè, il figlio primogenito maschio doveva essere offerto al Signore; i genitori potevano riscattarlo con l’offerta di un sacrificio.

Il bimbo era nella culla; aveva mangiato ed ora aspettava assonnato. Le fasce strette lasciavano percepire il colore olivastro della sua pelle ed un ciuffo di capelli adornava quel bellissimo volto. Giuseppe era intento a lavorare con la pialla, fu la voce di Maria a ridestarlo, bisognava che si preparasse. Il falegname lasciò il banco di lavoro pulendosi le mani sul grembiule che gli cingeva la vita e andò a sciacquarsi versando l’acqua di una brocca di coccio in un catino.


La strada fino al Tempio di Gerusalemme era relativamente breve. Il cielo era limpido, il sole non ancora alto non riusciva a scaldare completamente l’aria e Maria dovette tirare il suo mantello per riparare meglio il bimbo. Gli zoccoli del loro asino alzavano la polvere mentre Giuseppe tastava la sacca con dentro le monete con le quale avrebbe acquistato degli uccelli da offrire in sacrificio.

Per poter entrare al tempio bisognava incanalarsi in un fiume di fedeli che man mano che ci si avvicinava alla maestosa costruzione si stringeva sempre più. Una volta superato il portale, la folla si allargava e Giuseppe poté prendere per mano la sua sposa per aver il tempo di orientarsi in quel grande cortile. Vide i banchi dei cambiamonete e quelli dei venditori di animali per i sacrifici.

Quasi contemporaneamente faceva il suo ingresso al tempio il vecchio Simeone. Aveva vissuto da giusto e timorato di Dio e aspettava solo di comparire davanti al Signore, ma sapeva che non sarebbe arrivato quel momento se prima non avesse visto il Messia. E fu proprio lo Spirito Santo che quel giorno fece si che uscisse da casa e si recasse al Tempio; sapeva che quello sarebbe stato il giorno giusto.

Quando li vide, Simeone li riconobbe e volle prendere il bambino tra le sue braccia. Maria e Giuseppe erano stupiti e non sapevano come comportarsi, ma l’età avanzata di Simeone incuteva il dovuto rispetto e non poterono rifiutare la sua richiesta. Avuto tra le mani il pargolo, Simeone si rivolse al Signore e chiese di poter essere accolto presso di Lui adesso che i suoi occhi avevano visto. Ancora più i genitori del piccolo furono esterrefatti, ma nulla fu quello rispetto a ciò che il canuto disse a Maria, profetizzando l’avvenire di quel bambino: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima» (Lc. 2, 34-35).

Come se non bastasse anche la vecchia Anna, vedova da lungo tempo che viveva la sua vita nel Tempio pregando e digiunando profetizzò sul bambino.

I due genitori compirono velocemente il sacrificio donando le due tortore che Giuseppe aveva acquistato e si allontanarono. Maria teneva il piccolo Gesù coperto con il suo mantello reggendolo con un braccio, meglio stringendolo forte al petto. L’altra mano era serrata in quella di Giuseppe ed ognuno dei due riascoltava nella propria testa le parole di quei due profeti. A Maria in particolare le parole di Simeone avevano, ancora una volta provocato un turbamento. A Lei quella giovane ragazza che poco meno di un anno prima aveva ricevuto la visita dell’angelo, quella visita che aveva cambiato la sua vita mettendola di fronte a scelte difficili, incomprensibili per tanti. Adesso anche questa: mio figlio, pensava, qui per la rovina e per la resurrezione di molti, segno di contraddizione. E soprattutto la parte finale di quella profezia: una spada le avrebbe trafitto l’anima. Ripetendo quelle parole nella propria mente, la Vergine sobbalzò. Non ne comprendeva il quel momento il significato, ma era spaventata sicuramente. Poi, pian piano, facendo ritorno a casa, non poté non fare ciò che aveva sempre fatto e ripeté tra se le parole che aveva rivolto all’angelo qualche mese avanti: “Eccomi. Sono la serva del Signore”.



Oggi, due febbraio, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù a Betlemme ricordiamo la Sua presentazione al Tempio detta Candelora in quanto durante le celebrazioni odierne vengono benedette le candele: Cristo luce per le genti. Ho voluto fare una mia personale, immaginaria e fantasiosa ricostruzione di quella giornata per la Sacra Famiglia e mi scuso fin d’ora se facendolo ho dato più spazio alla fantasia che non all’esegesi dei testi, non è cosa mia lo ammetto. Una festa particolare per noi confratelli: oggi smontiamo e riponiamo i presepi e giusto il tempo di permettere a mogli e madri di fare una veloce “passata” di swiffer su quegli stessi piani sistemiamo chi processioni intere, chi parti di esse, chi una semplice posta di terracotta. Per noi, quella profezia di Simeone che ascolteremo per cinque domeniche consecutive nelle meditazioni della Via Crucis, è qualcosa di noto, è qualcosa di familiare, è qualcosa che ci riporta sempre alla mente la stessa immagine: Lei, bellissima, vestita di nero. Il fazzoletto bianchissimo per detergere più che le sue lacrime, le ferite del Figlio. Ed il cuore, trafitto, proprio come Simeone aveva profetizzato. E mentre davanti ai nostri occhi si materializza la sua figura, nelle nostre orecchie risuonano le note di “Mamma” e ci facciamo piccoli ai suoi piedi.