lunedì 13 febbraio 2017

Antonino Russo

Lo scorso 11 febbraio la Chiesa ha celebrato la XXV Giornata Mondiale del Malato.

Il tema era: Stupore per quanto Dio compie: «Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente…» (Lc 1,49).

L’idea di istituire questa giornata fu di san Giovanni Paolo II nel 1992 e fu celebrata per la prima volta a Lourdes l’11 febbraio 1993.


Il mistero della sofferenza è davvero grande e si interseca in maniera indissolubile con la Croce di Cristo, con le giornate della Sua Passione: Gesù si è fatto così vicino a noi da abbracciare le nostre sofferenze ed è la nostra grande speranza perché ha sconfitto la morte.

Il pensiero va verso le corsie di ospedale, nelle case dove tante persone combattono la loro personale battaglia: i più fortunati possono contare sul supporto dei familiari.

Ecco quindi come lo sguardo d’amore di chi sta accanto al malato è la prima vera medicina.

Penso allo sguardo di Maria sotto la croce così magistralmente riprodotto nei simulacri che portiamo in processione durante i giorni del Triduo: è lo sguardo delle mamme che soffrono per i loro figli.

Dice Papa Francesco in occasione di questa giornata del Malato:

“Lo sguardo di Maria, Consolatrice degli afflitti, illumina il volto della Chiesa nel suo quotidiano impegno per i bisognosi e i sofferenti. I frutti preziosi di questa sollecitudine della Chiesa per il mondo della sofferenza e della malattia sono motivo di ringraziamento al Signore Gesù, il quale si è fatto solidale con noi, in obbedienza alla volontà del Padre e fino alla morte in croce, perché l’umanità fosse redenta.

La solidarietà di Cristo, Figlio di Dio nato da Maria, è l’espressione dell’onnipotenza misericordiosa di Dio che si manifesta nella nostra vita – soprattutto quando è fragile, ferita, umiliata, emarginata, sofferente – infondendo in essa la forza della speranza che ci fa rialzare e ci sostiene.”

Non solo i familiari degli ammalati giocano un ruolo importante ma è fondamentale anche l’apporto dei medici, degli infermieri che non possono e non devono vivere la loro missione come un semplice lavoro ma con la passione e l’amore che solo una reale vocazione può dare.

Ci sono anche tanti volontari come coloro che con un naso da clown allietano i bambini nei reparti di pediatria: sono anche loro dei missionari, non molto diversi dall’esempio di Santità di Madre Teresa di Calcutta.

Le malattie più diffuse dei nostri giorni come la solitudine e l’emarginazione, possono essere curate con una parola di conforto, con uno sguardo carico di empatia, con un sorriso nei confronti di chi soffre. Ci riconosceranno come cristiani dalle nostre opere: dedichiamo parte del nostro tempo e delle nostre energie ai nostri fratelli malati.

Infine non dimentichiamo che, tra i Sacramenti, quello dell’unzione degli oggi è visto nella luce della vicinanza di Cristo al malato e al sofferente.

Nel Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica si legge: “Questo Sacramento consente talvolta, se Dio lo vuole, anche il recupero della salute fisica” e ancora: “La compassione di Gesù verso gli ammalati e le sue numerose guarigioni di infermi sono un chiaro segno che con lui è venuto il Regno di Dio e quindi la vittoria sul peccato, sulla sofferenza e sulla morte. Con la sua passione e morte, egli dà nuovo senso alla sofferenza, la quale, se unita alla sua, può diventare mezzo di purificazione e di salvezza per noi e per gli altri.”