mercoledì 4 marzo 2015

Luciachiara Palumbo 
«Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove e io preparo per voi un regno, come il Padre mio l’ha preparato per me, perché mangiate e beviate alla mia mensa nel mio regno».

Su un balcone basso una bambina dalle trecce bionde allunga la manina tra le sbarre e con sforzo cerca di accarezzare il volto di quell'uomo che la guarda. 

Di nuovo torna a guardare in alto la guida di questo nostro viaggio, di nuovo in un sorriso di dolore volge i suoi occhi al Padre e un po' a tutti noi se da un piano rialzato lo fissiamo intensamente. 

Ecco una delle statue più amate, ma perché? Non è solo la bellezza dei particolari costruttivi perché tutte in egual misura e in egual modo sono così belle e così profondamente vere che non si può non immedesimarsi nel dolore di una ferita che squarcia la pelle o nel freddo liquido che scende lungo la fronte. 

Particolari poi che la resero difficile da costruire. Il priore di allora ci teneva particolarmente a questa rappresentazione e la commissione così ricca di misure da rispettare sicuramente fece penare il povero cartapestaio che riuscì a realizzare una croce scomponibile in tre parti. L'attuale colore ligneo risale al 1978, quando il marrone chiaro andò a sostituire il nero precedente.

Questa semplice cartapesta è il simbolo dei nostri dolori, è simbolo di ogni nostro peso, è simbolo di tutte le volte in cui non ce la facciamo, in cui tutto sembra perso e le braccia non sono più capaci da sole di sollevare una apparente sconfitta.

 Incastriamo i nostri occhi nei suoi, vorremmo capire come potè sopportare quella pena e come fece ad amare lo stesso anche i suoi persecutori. Caduti sotto i nostri errori, caduti sotto le nostre sofferenze vorremmo darci per vinti e lasciarci morire nella solitudine più assoluta. E poi il nostro sguardo lo allontaniamo, troppo intenso il suo, troppo buono, troppo dolce e piano piano veniamo svestiti della nostra sicurezza e la vergogna appare… quanto, quanto possono essere miseri i nostri lamenti. 
 
Quanto è bello scappare dagli ostacoli della vita, quanto è bello allontanare le prove e tutto ciò che per noi non è buono. 

Ma Gesù non si sottrae, impugna col braccio destro quel legno e col sinistro fa leva per alzarsi, conficca le dita nel suolo e sollevando il capo implora aiuto a noi, a Lui, a tutti. "Pietà, pietà di me o uomo o donna che mi guardi, pietà di me o Padre".