giovedì 17 dicembre 2015

Benedetto Mainini ci regala un altro bel pezzo sul furto sacrilego avvanuto nella nostra Cattedrale agli inizi degli anni 80, serve per rinfrancare la memoria a chi c'era e per venire a conoscenza di fatti nuovi a chi allora non era ancora nato, buona lettura 
S.P. 

Benedetto M.Mainini

“HANNO RUBATO SAN CATALDO” così il titolo a otto colonne della prima pagina del Corriere del Giorno del 3 dicembre 1983 annunciava ai tarentini il furto sacrilego della statua del Patrono. Ricordo bene quella mattina di venerdì 2 dicembre: pioveva, faceva molto freddo. Uscii presto di casa e subito la voce del furto della statua si diffondeva in un baleno. “Ma è vero?” “No, non è possibile!” E invece era proprio vero; si perpetrò uno schiaffo a tutta la città, credente e non, un'offesa alla sacralità di un culto e dei suoi valori intrinseci. Arrivai di corsa alla Cattedrale e già era piena di fedeli, scuri in volto e allibiti e increduli per lo spettacolo che si presentava ai nostri occhi: il Cappellone, cuore della nostra devozione popolare, saccheggiato; come un campo di battaglia coperto dai resti di un massacro, oggetti sacri, alcune reliquie (almeno quelle le hanno lasciate), per terra bulloni e farfalle che tenevano insieme il nostro bel S. Cataldo. E poi gli occhi fissi nel vuoto, verso la nicchia: “San Catavete nuestre!” Ricordo che una vecchietta, con le lacrime agli occhi diceva che “S. Cataldo è il nostro padrone, al quale abbiamo affidato la nostra vita e la nostra città. Perciò lo chiamiamo padrone, prima ancora che patrono”

Il furto fu scoperto intorno alle 6,30 dal sagrestano, Nicolino Insogna, quando, entrando nel tempio dalla porticina che immetteva negli uffici (che all'epoca erano attigui al Cappellone) per apprestarsi ad aprire la chiesa, si accorse che un crocifisso dell'ufficio parrocchiale era stato spostato; poi trovò spezzata la catena che chiudeva il cancello d'ingresso del Cappellone. Immediatamente si accorse che c'erano stati i ladri. Non ebbe il coraggio di entrare ma corse a chiamare il Parroco, Mons. Michele Grottoli. Quest'ultimo si precipita in basilica e, davanti ai suoi occhi, appare uno spettacolo che mai avrebbe voluto vedere. Lo stesso Monsignore decise, come a sottolineare che questo furto costituiva una vera e propria sciagura per la città, decise di far suonare alle 10,10 il campanone di San Cataldo a morto!

I ladri non portarono via solo la statua argentea del Santo: furono trafugati anche io busti, sempre afgentei, di s. Pietro e di S. Marco, i due primi evangelizzatori di Taranto, sessanta candelieri, otto piatti, due incensieri, due acquasantiere, una grande croce, il pastorale di Mons. Iorio, due aspersori e due contenitori, il tutto in argento, delle reliquie della “Sacra Spina”, il reliquiario del piede di S. Cataldo, il reliquiario del braccio di Santa Maddalena, un ostensorio, la corona in argento che si poneva sull'antico simulacro di Santa Lucia, e altri oggetti.

E pensare che proprio in quei giorni tutta la comunità diocesana si stava preparando per festeggiare il cinquantesimo anniversario di ordinazione sacerdotale di Mons, Motolese (il 7 dicembre); proprio lo stesso Arcivescovo diffuse una nota nella quale manifestava “dolore e sgomento per il furto” e che “la mano sacrilega ha offeso e oltraggiato il cuore di Taranto che vede in San Cataldo il suo grande e venerato Protettore”. Ancora Mons. Motolese: “Quanto è avvenuto è il segno di una nuova barbarie! Unito ai fatti di sangue, ai crimini dà la misura della decadenza del nostro tempo”. E concludeva così: “Il prossimo maggio sarà un giorno, e per la prima volta, in cui l'immagine de San Cataldo, cara a tutti noi, non potrà essere venerata; ma non per questo si spegnerà una fiamma che è fede e retaggio di grandi valori della nostra gente”. E a settembre successivo Taranto ebbe un nuovo simulacro di S. Cataldo.

Il giorno dopo si tenne in Cattedrale una Veglia di preghiera che doveva essere una cerimonia di ringraziamento, di festa, per il cinquantesimo di Mons. Motolese e che si trasformò in una veglia riparatrice per il gesto sacrilego. “Lo Spirito del Signore – sottolineò Mons. Motolese durante la sua vigorosa e in qualche tratto commossa omelia – ci aveva convocato per una veglia di preghiera che volevate offrire al Signore per il Vostro Pastore in occasione dei suoi cinquant'anni di sacerdozio. L Veglia si compie, ma alle vostre nobili intenzioni si aggiunge la volontà di riparazione per il gravissimo gesto compiuto qui in Cattedrale”. E con il volto visibilmente addolorato ma nello stesso tempo forte e lucido concludeva: “Non vi sono né ladri né rapinatori, né persecutori che potranno distruggere il valore della nostra vita e della nostra fede, della quale dobbiamo dare testimonianza nel mondo d'oggi.”

Anche l'amministrazione comunale emise un comunicato che diceva che “il furto offende anche la coscienza civile che non può che respingere ogni tipo di violazione e di prepotenza”. Termina “sperando di poter riottenere la statua del Santo, simbolo di valori religiosi, culturali, popolari della città ionica.”

In San Cataldo e in quel simulacro (del 1892) la gente sentiva quell'unità, quella forza, quel coraggio tale da far sentire il Patrono come un compagno della propria vita. A quella statua eravamo affezionati e quello che hanno rubato appartiene alla nostra cultura e alla nostra storia, alle tradizioni dei nostri padri. È stato un oltraggio alla civiltà, alla cultura al cammino compiuto dai nostri padri! Lo stesso papa Paolo VI, nella storica visita della notte di Natale del 1968, raccomandò ai tarentini di essere “custodi gelosi di questo grande patrimonio storico e di fede”.

San Cataldo non fu mai più ritrovato. Altre statue sono state forgiate in argento, ma quel volto sorridente e benedicente...e chi se lo dimentica!!!