mercoledì 30 dicembre 2015

Di presepi ce ne sono davvero di tutti i tipi. Da quella prima geniale, dolcissima rappresentazione vivente che San Francesco d'Assisi mise in scena nei pressi di Greccio quasi otto secoli fa, a certe inquietanti installazioni minimaliste e post-moderne che talvolta abbruttiscono le piazze delle nostre città o - peggio - le nostre chiese, di presepi se non son visti per tutti i gusti.
C'è quello figurativo-narrativo e c'è quello astratto, c'è il presepe napoletano e c'è quello ambientato fra i trulli, o fra i Sassi di Matera, o fra lampare e paranze, o fra vicoli, larghi e postierle del nostro Centro Storico; c'è il presepe con i trastuddi di terracotta, o di cartapesta, o con quelli di stoppa che indossano abiti autentici, o con quelli che si muovono per davvero. C'è quello ambientato nel medioevo, quello tardo settecentesco, e c'è quello ambientato ai primi del '900 con i vecchi mestieri.
Il presepe autentico non è mai semplicemente un plastico. Non è una raffigurazione "fotografica" o verista della scena della natività. Un po' come per le icone della Passione, il presepe è una raffigurazione simbolica, addirittura talvolta teologica, del mistero della nascita corporale del Salvatore. Ecco perché la fantasia degli artisti e artigiani presepai si è sbizzarrita in soluzioni che, di volta in volta, vanno dal sorprendente, al geniale, fino, purtroppo non di rado, a oltre il limite del buon gusto.
Fra i presepi che abbiamo potuto ammirare quest'anno, c'è n'è uno che davvero merita di essere ricordato in queste colonne per non poche ragioni: è bello, è geniale, è realizzato da un ragazzino di soli undici anni, è un presepe che "parla" di noi.
Il presepe fa bella mostra di sè alla esposizione di mini presepi organizzata dalla sezione tarantina dell'Associazione Amici del Presepe presso l'Istituto Maria Immacolata.

Il giovane artista si chiama Mattia Antonicelli, studente di I Media, Scout e Ministrante presso la nostra parrocchia del Carmine.
L'artista ha ambientato la scena della Natività nell'androne di Palazzo Caló, in Città Vecchia, ricostruito con grande meticolosità: sono visibili, sulla sinistra, la tabula turistica con la scritta "Palazzo Caló", e, sulla destra la lapide commemorativa che la nostra confraternita ha fatto realizzare per la Settimana Santa 2015, a ricordo dei duecentocinquanta anni della donazione delle statue di Gesù Morto e dell'Addolorata. Sulla destra della scena, fuori dal portone di palazzo Calò, una posta di Perdùne in adorazione.
Il presepe è decisamente ben fatto ma al di là di questo, merita una serie di considerazioni che possano rispondere alla domanda: cosa è passato per la mente di questo artista undicenne? Poiché il presepe, come si è detto, è una rappresentazione simbolica, quale messaggio ci ha voluto veicolare? 

Provo a rispondere così, a ruota libera.
Uno dei momenti più forti di una Settimana Santa, quella del 2015, già piuttosto "forte" per evidenti motivi, è stato il passaggio dei Sacri Misteri su via Duomo, davanti a quello stesso palazzo Calò da cui, se le ricostruzioni storiche del nostro compianto Nicola Caputo sono esatte, sarebbe uscita per alcuni decenni la primitiva processione del Venerdì Santo tarantino, quella organizzata dal nobile Diego Calò, fino a quando il suo pronipote Francescantonio non decise di fare dono delle due statue alla nostra Confraternita. Alle prime luci dello scorso Sabato Santo, il Gesù Morto e l'Addolorata erano di nuovo lì, davanti a quello stesso palazzo; i portatori dell'una e dell'altra statua hanno voluto voltare i simulacri, insieme, verso l'ingresso, quando il nostro Padre Spirituale ha scoperto e benedetto la lapide che avevamo provveduto a far posare nei giorni precedenti. È stato un bel momento, uno di quei momenti unici, destinati a rimanere per sempre fra i ricordi più belli di quanti vi hanno assistito.
Un momento tanto speciale, che il nostro giovane artista - che, fra i ministranti, vi ha partecipato - ha pensato di farne l'ambientazione della Natività. Ma c'è di più, e qui - secondo me, la fantasia infantile si traduce in vera genialità: l'artista ha anche sistemato una coppia di Perdùne in adorazione. E' il gesto del Giovedì Santo; sono i nostri Confratelli che la sera del Giovedì Santo e la mattina del Venerdì si recano nelle chiese del Centro Storico e del Borgo per adorare Cristo vero, vivo e presente nelle Specie Eucaristiche, appena consacrate nella Missa in Coena Domini. Ecco cosa ci dice quel presepe: quel Cristo nato a Betlemme, quello che noi raffiguriamo nel presepe, è lo stesso maestro che ha percorso le polverose strade della Palestina di allora, lo stesso che ha celebrato la Pasqua con i suoi discepoli, lo stesso che si è consegnato agli aguzzini per farsi crocifiggere; è lo stesso Cristo che è risorto e asceso al cielo, lo stesso - finalmente - che si rende realmente presente nella transustanziazione del pane e del vino durante la celebrazione del Santo Sacrificio della Messa; quello stesso davanti a cui pieghiamo le ginocchia in adorazione, quel Cristo che, in pellegrinaggio, scalzi e incappucciati, andiamo ad adorare custodito nei "Sepolcri" delle nostre chiese; quel Cristo nato a Betlemme è lo stesso che i nostri padri hanno voluto raffigurare esanime, con i segni della Passione, e che, per i misteriosi disegni della Provvidenza, da quel palazzo Calò è giunto alla nostra chiesa dove è custodito e venerato da ormai duecentocinquantun anni.
Potrebbe sembrare un confuso affastellamento di immagini e suggestioni, ma in realtà si affaccia con incredibile chiarezza alla mente di un ragazzino undicenne che mirabilmente sintetizza il tutto con una semplicità disarmante, facendo nascere Gesù nel palazzo Calò mentre ad adorarlo ci sono... due di noi
Bravo Mattia!