Alessandro della Queva
Martedì, 8 dicembre, 21 e 30: si è conclusa da poco la processione in città vecchia. Abbiamo accompagnato per i vicoli e lungo la marina la Nostra mamma nelle vesti di Immacolata Concezione. Poco dopo i fuochi in piazza Castello abbiamo attraversato il ponte girevole e lesti siamo tornati a casa. Subito dopo l’ingresso del “trono” il portone della chiesa si è chiuso dietro le nostre spalle mentre il labaro e le prime consorelle già si inchinavano dinnanzi all’altare: usualmente con questo gesto la processione è definitivamente conclusa.
Siamo tutti intirizziti: le consorelle hanno gli occhi languidi, qualcuna ha il naso lucido, altre le guance paonazze; i confratelli battono a terra i piedi per far passare più in fretta il temporaneo torpore delle gambe, alcuni si accarezzano la nuca, altri sospirano “cè frìdde”. Attraversiamo frettolosi la sacrestia e imbocchiamo stretti la scala che porta ai saloni della confraternita.
Qui troviamo una sorpresa che ci sollecita un sorriso prima e ad una forte emozione dopo: sul disimpegno che porta alla segreteria ci aspetta uno zampognaro. Assordanti e calde le sue note ci accolgono, ci abbracciano, ci scaldano; l’atmosfera natalizia catalizzata dalla pastorale che suona viva dalle canne dello strumento calabrese scrolla di dosso la stanchezza e il freddo e rinnova l’entusiasmo.
Mentre ci cambiamo qualcuno ipotizza di chiedere al musicista una marcia funebre in controtendenza con la stagione ma sempre gradita ai cuori di ciascuno di noi; appallottoliamo in fretta il camice nei borsoni mentre riponiamo con un po’ più di cura la mozzetta, lo scapolare e il cappello… ma ancora non è il momento di andare via.
Il nostro fratello maggiore ci apre le porte del suo ufficio, la stanza recentemente ristrutturata che ospita la memoria storica della nostra confraternita: attento e previdente ci regala ancora un momento di calore fraterno; sulla scrivania ci sono delle pettole calde, un pandoro, un panettone e un paio di bottiglie insomma il necessario per festeggiare e brindare come tradizione tarantina vuole.
Intorno ci sono solo fratelli e sorelle, uomini e donne uniti dalla stessa passione, dalla stessa devozione, carmelitani, carmelitani e tarantini. Unità, fratellanza, entusiasmo e serenità affollano l’aria dell’Ufficio del Priore.
Si sta facendo tardi, “domani si lavora” tuona qualcuno tra i più responsabili, il tempo di stringersi ancora in un saluto, un abbraccio e un bacio, “ci vediamo alla prossima,… vabbè rubo un’altra pettola”
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Autore : Alessandro della Queva
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martedì 15 dicembre 2015