giovedì 31 dicembre 2015

Antonino Russo

Cercare, trovare, donare. Tre verbi che racchiudono le azioni che la Santa famiglia ha portato avanti, dal sì di Maria a quello di Giuseppe passando per la croce di Cristo.

Nel vangelo di Luca il verbo cercare viene usato quattro volte. La prima volta il verbo “cercare” è usato quando Maria e Giuseppe cercano Gesù nella carovana dei parenti e lo ritrovano dopo tre giorni a Gerusalemme tra i dottori della legge.

Trovare, quindi. In un celebre frammento di Pascal, Gesù dice all’uomo: “Consolati, tu non mi cercheresti, se non mi avessi già trovato” (Pascal, Pensées, 553: “Il mistero di Gesù”).

Donarsi, infine. Reciprocamente, come gli sposi che nell’unirsi in matrimonio di fronte a Dio, alla Chiesa e ai propri cari, hanno solennemente promesso di essere reciprocamente fedeli in ogni circostanza felice o avversa, e di amarsi e rispettarsi per tutta la vita.


Diceva San Giovanni Paolo II: fedeltà, amore, rispetto sono gli atteggiamenti fondamentali che devono stare alla base di ogni ordinata convivenza familiare e che, nel Sacramento, vengono elevati e sono quelle virtù cristiane, che vi daranno la possibilità di formare la vostra “Chiesa domestica” come la famiglia di Nazareth.

Dai «Discorsi» di Paolo VI, papa (Discorso tenuto a Nazareth, 5 gennaio 1964)

“La casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo. Qui si impara ad osservare, ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato così profondo e così misterioso di questa manifestazione del Figlio di Dio tanto semplice, umile e bella. Forse anche impariamo, quasi senza accorgercene, ad imitare.

Qui impariamo il metodo che ci permetterà di conoscere chi è il Cristo. Qui scopriamo il bisogno di osservare il quadro del suo soggiorno in mezzo a noi: cioè i luoghi, i tempi, i costumi, il linguaggio, i sacri riti, tutto insomma ciò di cui Gesù si servì per manifestarsi al mondo.

Qui tutto ha una voce, tutto ha un significato. Qui, a questa scuola, certo comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo. Oh! come volentieri vorremmo ritornare fanciulli e metterci a questa umile e sublime scuola di Nazareth! Quanto ardentemente desidereremmo di ricominciare, vicino a Maria, ad apprendere la vera scienza della vita e la superiore sapienza delle verità divine! Ma noi non siamo che di passaggio e ci è necessario deporre il desiderio di continuare a conoscere, in questa casa, la mai compiuta formazione all'intelligenza del Vangelo. Tuttavia non lasceremo questo luogo senza aver raccolto, quasi furtivamente, alcuni brevi ammonimenti dalla casa di Nazareth.

In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! silenzio di Nazareth insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri. Insegnaci quanto importanti e necessari siano il lavoro di preparazione, lo studio, la meditazione, l'interiorità della vita, la preghiera, che Dio solo vede nel segreto.



Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazareth ci ricordi cos'è la famiglia, cos'è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere com'è dolce ed insostituibile l'educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell'ordine sociale. Infine impariamo la lezione del lavoro. Oh! dimora di Nazareth, casa del Figlio del falegname! Qui soprattutto desideriamo comprendere e celebrare la legge, severa certo ma redentrice della fatica umana; qui nobilitare la dignità del lavoro in modo che sia sentita da tutti; ricordare sotto questo tetto che il lavoro non può essere fine a se stesso, ma che riceve la sua libertà ed eccellenza, non solamente da quello che si chiama valore economico, ma anche da ciò che lo volge al suo nobile fine; qui infine vogliamo salutare gli operai di tutto il mondo e mostrar loro il grande modello, il loro divino fratello, il profeta di tutte le giuste cause che li riguardano, cioè Cristo nostro Signore.”