Antonino Russo
Una sera come tante, dalla libreria dei miei genitori,
prendo in mano un libro che era lì da sempre ma che non mi ero soffermato a
leggere:
Nicola Caputo
Caro Gesù Bambino…
“Quel Natale fatto in casa”
Il Natale dei
tarantini
arte storia tradizione
Ho pensato che questo testo avrebbe potuto aiutarci ad
arrivare al prossimo Natale con uno sguardo rivolto a cosa era la nostra città,
la nostra comunità. Se lo sguardo è poi quello del Priore Emerito Nicola
Caputo, allora non resta che sedersi e leggere.
“Schegge di Natale
Era il 15 dicembre di un Natale di guerra. Il ‘41 o il ‘42, non ricordo. Anche quella notte (era ormai un'abitudine) la solita incursione nemica ci sorprese nel sonno. Papà accese una candela, la mamma venne accanto ai nostri lettini e ci sollevo con tutte le coperte. Ci avviamo al rifugio come soldati al fronte nelle guerre di una volta. Il portone di casa, nero come la pece, ci accolse tremanti, impauriti, con gli occhi spalancati che cercano disperatamente un po' di luce, un barlume qualsiasi. Gli unici bagliori che riuscivamo a scorgere erano quelli che a ripetizione ci regalava la larga fessura del vecchio portone da dove filtravano, agghiaccianti, le fiammate delle batterie antiaeree.No, era impossibile uscire. Tatatà... tatà...Il frastuono, i boati, i sibili dei proiettili traccianti li sentivamo accanto a noi.
Mia sorella piangeva in braccio a mia madre, io con le coperte in testa, ero finito in un angolo del portone e battevo i denti per la paura e il freddo. Papà, il più coraggioso di tutti, si sentiva forse in colpa: non era riuscito a svegliarci in tempo e ora eravamo lì, impossibilitati a raggiungere il ricovero più vicino, soli nel portone di un palazzo dove gli sfollati nei paesi vicini eran più di quei pochi che erano rimasti. A un tratto uno scoppio violentissimo, un rumore infernale. Il portone si spalancò, sentimmo i vetri delle finestre venire giù in una pioggia continua. "Madonna aiutaci!".
L'urlo di mia madre fu coperto dal tatatà sempre più possente delle mitraglie. E ora, con quel portone spalancato, le schegge dei proiettili cadevano vicino ai nostri piedi, si infilavano saettando dal portone, infuocati, micidiali.
Cos'era successo? Non sapremo mai la verità. Si disse poi che l'antiaerea aveva colpito un bombardiere nemico, facendolo esplodere in cielo con tutto il suo carico di morte. E il boato, infatti, era stato tanto forte che era impossibile pensare all'esplosione di una sola bomba. Non per nulla il giorno dopo la città aveva un aspetto insolito: le saracinesche dei negozi (quelle saracinesche ondulate di una volta) erano tutte rigonfie, spostati i chioschi e persino le poche "Balilla" parcheggiate sotto i marciapiedi, in frantumi tutti vetri di tutti i palazzi.
A quei tempi, proprio per evitare che i vetri, cadendo, potessero causare altri feriti, era obbligatorio proteggerli con delle strisce di carta incollate a ics. E così, dopo un bombardamento, spesso le finestre si vedevano appendere minacciosi questi prezzi ridotti in mille schegge e tenuti insieme dalle strisce di carta bianca.
Il giorno dopo quell'infernale incursione pensammo, io e mia sorella, di fare il presepio. Come cominciare? Non avevamo proprio nulla a parte la Madonna, San Giuseppe e il Bambino. Tirammo fuori tutte e tre le statuette e stemmo lì a pensare. E mentre pensavamo mi accorsi di un vetro della nostra cameretta, ridotto anche esso in mille schegge tutte miracolosamente tenute insieme dalle solite strisce di carta, somigliava tanto ad un cielo dal quale cadeva in abbondanza la neve. Avrebbe fatto meravigliosamente da sfondo, quel vetro ridotto in mille frammenti, al nostro piccolo un misero presepio di quell'anno di guerra.
Lo staccai con mille cautele, mi tagliai pure, tolsi dal pavimento i vetri caduti infine collocai quelle bianche schegge tra alcuni fogli di giornali bagnati appallottolati. Davanti ci misi la grotta con i personaggi della Natività. Un po' di muschio grattato dei cornicioni del terrazzo, una manciata di terra tolta da una pianta di begonia, la parte superiore di un finocchio e con le sue foglie imitava una foresta e il nostro presepio di quell'anno fu bell'e pronto.
Qualche giorno prima di Natale nostra madre riuscire a rimediare chissà come un po' di farina e "mienze quinte" di olio.
Nella nostra casa entrò così, trionfalmente, sua maestà la pentola, il dolce dei poveri, così come l'ho definito in questo libro. Ricordo ancora il presepio di quel lontano Natale di guerra. Con le sue schegge di vetro e la terra sottratta da una pianta di begonia di mamma. Odorava di finocchio, ma chi ci badava?
Ho voluto iniziare con questo episodio di vita vissuta la seconda edizione di "Quel Natale fatto in casa", perché il Natale anche quando c'è poco da gioire (come in tempo di guerra), è sempre la più bella festa dell'anno. In quel 1941 (o 1942) le mille schegge di quel vetro frantumato dagli scoppi delle bombe, valsero a me mia sorella, a farci realizzare un presepio, misero finché volete, ma così luminoso, immenso, soprattutto vero, pur nella sua semplicità. Eravamo felici. Perché anche in quell'anno di guerra eravamo riusciti a far nascere a casa nostra il bambinello Gesù. Lui ci sorrideva dalla grotta. Anche quando ululavano le sirene che ci annunciavano l’arrivo di altri bombardieri nemici. Ci sorrideva, sì. E anche se non veniva al ricovero con noi, lì, da quella grotta, ci proteggeva. Proteggeva noi, la nostra casa, la nostra città. Grazie, Gesù bambino, per tutto l'amore che ci hai dato. Soprattutto in quegli anni tristi, di paura, di morte.”
Il mio pensiero raggiunge ora tutti quei bambini che, ancora oggi, vivono momenti di terrore a causa delle guerre: portiamoli nel cuore e ricordiamoli nella preghiera mentre realizziamo i nostri presepi, al sicuro delle nostre case.