giovedì 6 febbraio 2014

Valeria Malknecht

Scrivere di Settimana Santa non è una cosa così semplice. Significa interpretare uno stato d’animo personale, trasformarlo in parole e sperare che arrivi dritto dritto al cuore di chi sta leggendo. Se da un lato so bene di cosa voglio scrivere, dall’altro ho sempre un po’ il timore di cadere nel banale. Ma, se mi fermo un attimo a pensarci, mi rendo conto che non può essere così.

Non può esserci banalità nel parlare di emozioni che si rinnovano sempre diverse ogni anno, mentre si attendono e si vivono quei Tre Giorni. Sono sensazioni particolari che sentiamo sulla nostra pelle e che ci accomunano. Ed è da queste emozioni che nascono tutte queste parole da scrivere, assieme a quell’inspiegabile forza che ci ritroviamo improvvisamente dentro e che, in quei Giorni, non ci fa cedere alla stanchezza, al sonno e al freddo.

No, non può esserci banalità o ripetitività quando si parla di Settimana Santa, perché le cose belle, quelle vere e autentiche, non sono mai banali. Quando vivevo a Milano ed alcuni amici mi chiedevano cosa fosse la Settimana Santa tarantina, le strade erano due: o facevo veder loro qualche video, oppure la descrivevo attraverso queste poche e semplici parole. Settimana santa è … …

Odore. Quello dei fiori, dell’incenso e della cera sugli Altari della reposizione. Lo respiri per un attimo quando il portone del Carmine si apre per far uscire la prima coppia di Confratelli, rivolti verso la città vecchia. E poi ti avvolge pienamente appena entri in Chiesa. È quello che hai sentito anche l’anno precedente in fin dei conti, ma in realtà è ogni anno diverso perché si mischia alla curiosità di sapere come sarà stato allestito l’Altare, alla meraviglia e allo stupore che provi quando lo scorgi, all’emozione che ti da il fatto di realizzare che tutto è iniziato finalmente. E così, ogni volta che si entra in una delle nostre Chiese, si resta incantati davanti alla poesia di quei profumi e di quei colori. …

Colore. Il nero e l’azzurro del nostro Scapolare. Il nostro scudo, il nostro segno distintivo, il nostro Decoro. Tutti uguali, perché ci ricordano che siamo figli della nostra Titolare, che ogni anno ci perdonerà e ci capirà se a volte siamo così tanto concentrati sulla Settimana Santa. Ma Lei sa che quando lo indossiamo, sentiamo profondamente di appartenerLe. Tutti uguali, dicevo, ma tutti diversi e personali, perché ognuno ha un suo ricamo, un suo motivo, o richiama un ricordo, una persona cara, perché magari gli è stato tramandato. …

Ricordo. Non parlerò di un ricordo in particolare, perché ognuno ha il proprio. Di solito, è il primo che ti viene in mente quando ascolti la tua marcia preferita (che sia luglio o che sia marzo, è sempre il momento buono per ascoltarla). Tutto ciò che ti evoca un suono, una musica è quasi per definizione un ricordo. E la colonna sonora della Settimana Santa sono le marce funebri che, alle nostre orecchie, non suonano poi così tanto come musiche strazianti e tristi, bensì diventano dolci note che accompagnano un Cristo che sembra solo addormentato. E se ricordo è suono, allora suono è anche il crepitio della Troccola, quando è tra le tue mani per la prima volta o la senti per la strada in lontananza; è il tintinnio delle medaglie dei rosari dei confratelli che compongono la processione; è il suono (che non è mai rumore) del bordone che bussa al Portone del Carmine il sabato mattina. Distinguibilissimo e percettibile anche da lontano perché in quel momento, nella nostra piazza, tutto rispettosamente tace. ...

Piazza. Quella della gente. Di tutta la gente tarantina. La gente che prega e che crede. E anche quella che, pur non credendo, per qualche strano motivo si sente comunque attirata da tutto questo e si ritrova ad emozionarsi senza ragione. È la piazza degli incontri con i tuoi compagni, degli appuntamenti con la tua squadra. È la piazza dei tanti caffè che ti aspetti ti aiutino a tenerti sveglio in quei giorni. È la piazza che ti richiama ogni giovedì sera durante l’anno, per la cerimonia del Cristo Morto. È l’asfalto che ho percorso e dove mi sono ritrovata emozionata la sera del 15 luglio scorso, mentre attendevo di entrare in Chiesa in processione. È la piazza che mi ha vista tante volte vivere i nostri Riti da tarantina qualunque, ma che quest’anno mi vedrà viverli da Consorella. …

Consorella. Per me, quest’anno, la Settimana Santa è anche essere Consorella. Un desiderio che sentivo in me fin da quando ero piccola e che ho potuto realizzare solo ora.
Ed essere Consorella per me è anche sentire il profumo dei fiori sugli altari il Giovedì Santo emozionandomi, perché ogni anno quell’odore mi conferma che la mia tradizione si sta rinnovando. È indossare il mio Scapolare e ricordare, mentre lo bacio, la gioia che ho provato quando me l’hanno messo sulle spalle per la prima volta. È conoscere e riuscire a distinguere il momento esatto in cui, durante “Tristezze”, il troccolante dovrà suonare la troccola. È essere parte di questa piazza, della gente, della mia Taranto smarrita e affaticata, che vorrei trovasse il suo riscatto. La Settimana Santa è tutto questo e molto altro ancora. È la tradizione che ci lega, che ci è stata tramandata e che noi abbiamo l’onore ed il dovere di custodire e di saper difendere con delicatezza. È la nostra identità vera e ogni singola parola o pensiero che riusciremo a trovare per descriverla e ricordarla, non sarà mai banale.

.......Perché parlare di Settimana santa è un po’ come parlare di se stessi.